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Silenziosa. Invisibile. Può assumere differenti identità. È luce, calore, freddo, immagini, musica, parole, forza, intelligenza. Scorre in un sistema venoso di cavi di rame interrato che, sotto l’asfalto, percorre capillarmente le strade delle nostre città. Si dirama nella pelle intonacata delle pareti. Affiora, finalmente. Convogliata da un ultimo tratto di cavo collegato ad una presa entra a far parte della nostra vita. Alimenta l’illuminazione, i forni, i frigoriferi, le tv, le fabbriche, i terminali sulle scrivanie di ogni ufficio. Elettricità

Quanto sarebbe diversa la nostra vita senza quell’impulso di energia. Non riusciremo mai nemmeno a immaginarlo.  Ne possiamo avere un’irrisoria percezione nel corso dei black out che ci colgono di sorpresa nelle afose serate d’estate. E’ allora che si prende coscienza di quanto la società moderna sia dipendente dall’elettricità. In quegli istanti ci accorgiamo che il cielo è stellato, la notte buia, la casa silenziosa.

L’elettricità ci ha permesso di raggiungere livelli di emancipazione impensabili. È libertà. Ed è condanna. È la fonte del progresso. L’origine delle sue ombre. Se il prodotto finito è pulito, è il modo in cui lo si produce che proietta un’inquietante ombra sul benessere dell’uomo e del suo habitat. Per oltre un secolo abbiamo prodotto elettricità sfruttando prevalentemente quei combustibili fossili responsabili della immissione nell’atmosfera di CO2.

Siamo al punto di non ritorno. Non si può inquinare oltre. Dobbiamo convertirci ad un’energia pulita. Non abbiamo alternative.

Dobbiamo compiere ciò che il Governo Draghi ha definito la “transizione ecologica”, dedicando a questo obiettivo un omonimo ministero. Dobbiamo diventare una società che salvaguardia il suo habitat. Che ne è responsabile. Che se ne prende cura.

I mezzi ce li abbiamo già. Le tecnologie sono già a disposizione. Forse da un tempo maggiore rispetto a quanto potremmo immaginare. Nel 1925 Thomas Alva Edison affermava che “tra 15 anni si userà l’elettricità più per le auto che per la luce”. Quei 15 anni si sarebbero dovuti consumare non oltre gli anni ’40 del 1900. Quanto tempo abbiamo sprecato prima di cominciare a produrre auto elettriche? Troppo.

Ogni mattina migliaia di veicoli da lavoro si mettono in movimento lungo tutto lo stivale per animare cantieri edili e stradali. Si muovono tra le nostre città diffondendo rumore, esalando gas di scarico. Un esercito inquinante che non si è più disposti a tollerare. Le amministrazioni pubbliche, agli ordini delle quali questi mezzi si mettono in opera, nell’adempiere alle incombenze dettate da un contratto d’appalto, devono puntare alla diffusione di cantieri ecologici.

Un’escavatrice si mette in posizione, affonda la sua mano di metallo nel terreno. Una ruspa raccoglie i detriti e li carica nel cassone di un camion che parte per andare a scaricare il materiale di risulta. I gesti meccanici sono sempre gli stessi. L’efficienza di questi grandi attrezzi è invariata. Eppure ogni veicolo è alimentato dall’elettricità. Non te ne accorgeresti se non per il fatto che i loro motori sono estremamente silenziosi. E’ il futuro? No, è il presente. Molte case produttrici di veicoli stanno già producendo queste attrezzature. Le si lascia in carica la notte, al mattino si stacca la presa e si mettono a lavoro. La transizione ecologica non può non passare anche attraverso il rinnovo delle flotte di mezzi da lavoro, siano essi direttamente in dotazione alle pubbliche amministrazioni oppure di proprietà delle imprese appaltanti. La presenza di tali mezzi nelle disponibilità di un’impresa dovrebbe essere un fattore premiante nella scelta dell’impresa alla quale saranno affidati lavori di pubblico interesse, rafforzato dall’eventualità che la stessa impresa si rifornisca di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili.

Oggi i mezzi elettrici possono offrire le stesse prestazioni di quelli alimentati da fonti energetiche “primitive”. Sul piano dell’efficienza e dell’affidabilità, l’utilizzo di mezzi meccanici alimentati da energia pulita non è un passo indietro. I risultati sono gli stessi. Le macchine da lavoro di ultima generazione sono in grado di offrire un lavoro identico ai loro antenati. Lo fanno in modo diverso, non inquinano. Quindi, possiamo concludere che lo fanno in un modo migliore. Paul McCartney un giorno si soffermò a pensare sul fatto che “ci deve essere un modo migliore per fare le cose che vogliamo, un modo che non inquini il cielo, o la pioggia o la terra”. Abbiamo la risposta: c’è. L’unico rammarico è che avremmo potuto rispondere già molto tempo fa.

Ma il tempo delle recriminazioni e dei rimpianti si è esaurito. E’ il momento di agire. “Cominciate col fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile. E all’improvviso vi sorprenderete a fare l’impossibile” diceva San Francesco d’Assisi. Cominciamo. Magari va a finire che lo salviamo veramente il nostro mondo.

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Dott. Enzo de Gennaro
Direttore Responsabile
mediagraphic assistenza tecnico legale e soluzioni per l'innovazione p.a.