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Inapplicabilità del soccorso istruttorio, note a margine del Consiglio di Stato, sez. IV, 21 dicembre 2015 n. 5803

1. Inquadramento

Come è noto l’art. 38 del D.lgs. 163/2006 e s.m.i. contiene un’elencazione di requisiti di moralità il cui possesso è indispensabile per partecipare alle procedure di affidamento delle commesse pubbliche e stipulare i relativi contratti.

L’esigenza di garantire l’affidabilità e la professionalità del soggetto aggiudicatario è alla base della previsione di una serie di requisiti che, in negativo, costituiscono cause soggettive di esclusione del concorrente che ne risulti privo[1]: il tutto in un’attuazione dei principi di libera concorrenza, parità di trattamento e non discriminazione (art. 2 d.lgs. n. 163/2006).

Come è noto, in giurisprudenza, si è, tra l’altro, a lungo dibattuto sulla questione in ordine all’onere, per il soggetto cessionario di azienda o di ramo di azienda, di attestare il possesso dei requisiti generali di moralità in relazione ai soggetti dell’impresa cedente, che ricoprivano le cariche contemplate dall’art. 38 del D.lgs. 163/2006.

La querelle giurisprudenziale ha determinato la rimessione della questione all’Adunanza Plenaria.

Un primo orientamento si fondava sul presupposto per cui un siffatto onere non è espressamente previsto dall’art. 38 del D.Lgs. 163/2006, stante la necessità di stretta interpretazione delle clausole di esclusione, la prevalenza delle espressioni letterali in esse contenute, e la preclusione di ogni forma di estensione analogica, che rischierebbe di creare un vulnus all’affidamento dei partecipanti, alla par condicio dei concorrenti e all’esigenza della più ampia partecipazione.

Secondo questo orientamento, “… in materia di procedure ad evidenza pubblica le clausole di esclusione poste dalla legge o dal bando in ordine alle dichiarazioni cui è tenuta la impresa partecipante alla gara sono di stretta interpretazione dovendosi dare esclusiva prevalenza alle espressioni letterali in esse contenute e restando preclusa ogni forma di estensione analogica diretta ad evidenziare significati impliciti, che rischierebbe di vulnerare l’affidamento dei partecipanti, la par condicio dei concorrenti e l’esigenza della più ampia partecipazione” (Cons. Stato, Sez. V, decisione 15 novembre 2010, n. 8044. Tra le tante, si veda anche Cons. Stato, Sez. V, 21 maggio 2010, n. 3213). In particolare, “… manca nel Codice appalti una norma, con effetto preclusivo, che preveda in caso di cessione d’azienda antecedente alla partecipazione alla gara un obbligo specifico di dichiarazioni in ordine ai requisiti soggettivi della cedente riferita sia agli amministratori e direttori tecnici in quanto l’art. 38 richiede il possesso e la dimostrazione dei requisiti generali di partecipazione solo in capo al soggetto concorrente. Ne discende che in assenza di tale norma e siccome la cessione di azienda comporta non una successione a titolo universale del cessionario al cedente bensì una successione nelle posizioni attive e passive relative all’azienda tra soggetti che conservano distinta personalità giuridica, non può essere esclusa l’impresa cessionaria del ramo d’azienda che non abbia presentato le relative dichiarazioni in ordine alla posizione della cedente. Né vale richiamare in senso contrario gli artt. 51 e 49, norme che si riferiscono rispettivamente alle diverse ipotesi nelle quali la cessione sia avvenuta nel corso della gara ovvero il concorrente ricorra ad imprese ausiliarie mediante l’avvalimento al fine di integrare i propri requisiti per partecipare alla gara” (Cons. Stato, sez. V, n. 8044/2010 cit.).

Mentre un secondo e contrapposto orientamento si radicava sulla considerazione per cui operazioni societarie come la cessione di azienda possono mirare, attraverso l’accordo di assetti proprietari compiacenti, a consentire la partecipazione alle gare pubbliche da parte di complessi aziendali che, diversamente, sarebbero rimasti nella disponibilità di imprese cedenti che non avevano i requisiti di moralità. In base a questo indirizzo giurisprudenziale, “la posizione del soggetto titolare o direttore tecnico del ramo d’azienda ceduto ad un’impresa partecipante ad una gara è del tutto assimilabile a quella del soggetto cessato dalla carica all’interno della stessa impresa; con la conseguenza che, nella partecipazione ad una gara d’appalto, l’autocertificazione (prevista a pena di esclusione dal disciplinare di gara) che le imprese devono presentare in ordine alla inesistenza di condanne penali per reati che incidono sull’affidabilità morale e professionale, dovrà essere espressamente riferita anche al soggetto, titolare o direttore tecnico del ramo d’azienda ceduto”. Ciò in quanto, “anche nella cessione di un ramo d’azienda si realizza una successione di alcuni elementi soggettivi presenti nel singolo ramo, con la conseguenza che l’influenza negativa del cedente si esplica anche nei confronti del cessionario e l’eventuale inquinamento della gestione riverbera la sua influenza negativa anche nell’attuale struttura dell’intera compagine societaria (C.G.A. 6 maggio 2008, n. 389 e 29 maggio 2008, n. 471)” (C.G.A., 4 febbraio 2010, n. 101; nello stesso senso, anche Cons. St., sez. VI, 4.5.2011, n. 2662 e sez. III, 13 giugno2011, n. 3580).

In tale quadro, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la sentenza del 4 maggio 2012, n. 10 si è espressa avallando il secondo orientamento, in quanto più aderente alla necessità di garantire l’efficace applicazione delle preclusioni dettate dall’art. 38.

Premesso che secondo il principio di tipicità e tassatività delle cause di esclusione, la norma recata dall’art. 38, co. 1, lett. c) non è suscettibile di interpretazione tale da introdurre ulteriori e non previste cause ostative, l’Adunanza ha ritenuto di dover chiarire se il contenuto della stessa norma già di per sé comprende o meno ipotesi non testuali, ma pur sempre ad essa riconducibili sotto il profilo della sostanziale continuità del soggetto imprenditoriale a cui si riferiscono, sicché il soggetto cessato dalla carica sia identificabile come interno al concorrente.

In tale quadro, l’Adunanza è stata dell’avviso che nella causa di esclusione in esame non possa non ricadere anche l’ipotesi in cui affiori l’intento di eludere la norma in relazione a vicende in atto o prevedibili.

Diversamente opinando, infatti, si finirebbe col disattendere lo scopo stesso della preclusione di legge, da individuarsi senz’altro nel fine di impedire anche solo la possibilità di inquinamento dei pubblici appalti di lavori, servizi e forniture derivante dalla partecipazione alle relative procedure di affidamento di soggetti di cui sia accertata la mancanza di rigore comportamentale con riguardo a circostanze gravemente incidenti sull’affidabilità morale e professionale.

In questo senso, a fronte di tale scopo essenziale e preminente non possono militare in senso contrario l’esigenza di certezza giuridica, intesa in termini impeditivi di ogni interpretazione non strettamente letterale, e la tutela della libertà d’impresa, laddove agiscano a scapito dello scopo stesso.

Si consideri del resto, a riprova di ciò, come la giurisprudenza, con indirizzo interpretativo del tutto prevalente, ritenga che la disposizione è applicabile anche nelle ipotesi di fusione o di incorporazione di società, ancorché venute in essere antecedentemente all’avvio della gara[2].

Vero è che in tali casi, a differenza di quanto avviene nella cessione, la vicenda realizza una successione a titolo universale fra i soggetti interessati ovvero, alla luce della riforma del diritto societario disposta dal d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, la loro mera trasformazione e lascia dunque ferma, per definizione, la continuità dell’attività imprenditoriale. Non è peraltro nel contempo da sottacere che quest’ultimo fenomeno ben può verificarsi pur in ipotesi di cessione di azienda o di ramo di azienda: sebbene infatti per suo tramite si realizzi una successione a titolo particolare, essa tuttavia assume una forma del tutto peculiare, consistente nel passaggio all’avente causa dell’intero complesso dei rapporti attivi e passivi nei quali l’azienda stessa o il suo ramo si sostanzia (tanto da farsi riferimento in giurisprudenza al concetto di trasferimento di universitas, v. Cass., 12 giugno 2007, n. 13765; Cass., 13 giugno 2006, n. 13676; Cass., 19 luglio 2000, n. 9460). Il che rende la vicenda ben suscettibile di comportare pur essa la continuità tra precedente e nuova gestione imprenditoriale.

La responsabilità per fatto di soggetto giuridico terzo a cui soggiace il cessionario trova risposta nel principio ubi commoda, ibi incommoda: il cessionario, come si avvale dei requisiti del cedente sul piano della partecipazione a gare pubbliche, così risente delle conseguenze, sullo stesso piano, delle eventuali responsabilità del cedente.

Il cessionario ha l’onere di presentare la dichiarazione relativa al requisito di cui all’art. 38, comma 2, lett. c), del d.lgs. n. 163 del 2006 anche in riferimento agli amministratori ed ai direttori tecnici che hanno operato presso la cedente nell’ultimo anno.

La plenaria n. 10/2012, affermato il predetto principio, ha osservato che possa aversi tuttavia riguardo a peculiarità dei casi specifici:

  1. anzitutto, è comunque dato al cessionario comprovare l’esistenza nel caso concreto di una completa cesura tra vecchia e nuova gestione, tale da escludere la rilevanza della condotta dei precedenti amministratori e direttori tecnici operanti nell’ultimo triennio e, ora, nell’ultimo anno, presso il complesso aziendale ceduto. Infatti, proprio nella logica del cennato fenomeno della dissociazione, al cessionario va riconosciuta la possibilità di comprovare che la cessione si è svolta secondo una linea di discontinuità rispetto alla precedente gestione, tale da escludere alcuna influenza dei comportamenti degli amministratori e direttori tecnici della cedente
    1. resta altresì fermo – tenuto anche conto della non univocità delle norme circa l’onere del cessionario – che in caso di mancata presentazione della dichiarazione e sempre che il bando non contenga al riguardo una espressa comminatoria di esclusione, quest’ultima potrà essere disposta soltanto là dove sia effettivamente riscontrabile l’assenza del requisito in questione.

Con la successiva sentenza dell’Adunanza Plenaria, 7 giugno 2012, n. 21sono, altresì, stati espressi i seguenti principi di diritto:

  1. in caso di incorporazione o fusione societaria sussiste in capo alla società incorporante, o risultante dalla fusione, l’onere di presentare la dichiarazione relativa al requisito di cui all’art. 38, comma 1, lett. c), d.lgs. n. 163/2006 anche con riferimento agli amministratori ed ai direttori tecnici che hanno operato presso la società incorporata o le società fusesi nell’ultimo anno ovvero che sono cessati dalla relativa carica nell’ultimo anno. Resta ferma la possibilità di dimostrare la c.d. dissociazione.
  2. l’art. 38, comma 2, impone la presentazione di una dichiarazione sostitutiva completa, a pena di esclusione, e tale dichiarazione sostitutiva deve essere riferita, quanto all’art. 38, comma 1, lett. c), anche agli amministratori delle società che partecipano ad un procedimento di incorporazione o di fusione, nel limite temporale ivi indicato.

2. Il caso di cui alla sentenza del Consiglio di Stato, sez. IV, 21.12.2015 n. 5803 e gli orientamenti difformi

Il caso trattato dalla sentenza in commento concerneva un concorrente che aveva del tutto omesso nella propria offerta le dichiarazioni ex art. 38 relative anche all’Amministratore unico e al Direttore tecnico della Società presa in affitto d’azienda tre mesi prima della pubblicazione del bando di gara.

In relazione a tale indiscussa circostanza l’indagine giuridica condotta dal Collegio con la sentenza 5803/2015 ha riguardato i seguenti aspetti e, cioè:

  1. se con riferimento alle prescrizioni normative (art. 38 d.lgs. n. 163/2006) e di quelle recate dalla lex specialis di gara il concorrente avrebbe dovuto o meno rendere la dichiarazione ex art. 38 relativamente alla società dalla quale aveva affittato l’azienda;
  2. se la manchevolezza in cui è incorso il concorrente,una volta accertato l’obbligo a rendere la dichiarazione nei sensi di cui sopra, costituiva causa giustificativa di esclusione dalla gara oppure siffatta “irregolarità” era sanabile con l’attivazione, come poi di fatto avvenuto, del c.d. soccorso istruttorio.

Ebbene, avuto riguardo alla questione sub a), la Sezione ha richiamato il principio giurisprudenziale costantemente affermato (Cons. Stato Sez. 5/11/2014 n. 5470) e di recente ribadito dalla medesima Sezione (sentenza n. 4100 del 1/9/2015) secondo il quale: “ai fini della partecipazione alle gare di appalto la fattispecie dell’affitto di azienda rientra tra quelle che soggiacciono all’obbligo di rendere dichiarazioni di cui all’art. 38 comma 1 lettera c del dlgs n.16372006 riguardante anche gli amministratori e direttori tecnici dell’impresa cedente nel caso in cui sia intervenuta un’operazione di cessione di azienda in favore del concorrente nell’anno anteriore alla pubblicazione del bando”.

Ai fini della partecipazione alle gare di appalto la fattispecie dell’affitto di azienda rientra tra quelle che soggiacciono all’obbligo di rendere dichiarazioni di cui all’art. 38 comma 1 lettera c) del dlgs n.16372006 riguardante anche gli amministratori e direttori tecnici dell’impresa cedente nel caso in cui sia intervenuta un’operazione di cessione di azienda in favore del concorrente nell’anno anteriore alla pubblicazione del bando.

D’altra parte, secondo quanto sancito dall’Adunanza Plenaria con le pronunce n.10 e 21 del 2012, l’obbligo dichiarativo ex art. 38 scaturisce direttamente dalla legge.

Da tale assunto “maggiore” deriva anche la soluzione della questione sub b), nel senso che, a fronte della obbligatorietà ex lege della dichiarazione relativa alla posizione della impresa cedente, l’inosservanza di un tale onere documentale comporta la esclusione dalla gara del soggetto concorrente, ancorché la misura espulsiva non sia stata espressamente contemplata dalla lex specialis di gara.

Parzialmente difforme sul punto la sentenza n. 4100/2015 richiamata dal Collegio che valorizza il consolidato approdo giurisprudenziale, (ribadito assai di recente: Cons. Stato Sez. V, 22-01-2015, n. 278) secondo cui nelle gare pubbliche per definire il perimetro del “soccorso istruttorio” è necessario distinguere tra i concetti di “regolarizzazione documentale” ed “integrazione documentale”: la linea di demarcazione discende naturaliter dalle qualificazioni stabilite ex ante nel bando, nel senso che il principio del “soccorso istruttorio” è inoperante ogni volta che vengano in rilievo omissioni di documenti o inadempimenti procedimentali richiesti a pena di esclusione dalla legge di gara (specie se si è in presenza di una clausola univoca), dato che la sanzione scaturisce automaticamente dalla scelta operata a monte dalla legge, senza che si possa ammettere alcuna possibilità di esercizio del “potere di soccorso”. Conseguentemente, l’integrazione non è consentita, risolvendosi in un effettivo vulnus del principio di parità di trattamento; è consentita, invece, la mera regolarizzazione, che attiene a circostanze o elementi estrinseci al contenuto della documentazione e che si traduce, di regola, nella rettifica di errori materiali e refusi .”

Secondo, dunque, quanto stabilito dalla pronuncia in commento n. 5803/2015 non appare, in alcun modo, configurabile l’esperimento del c.d soccorso istruttorio di cui all’art. 46 D.Lgs. n. 163/2006 ai fini di ottenere una sorta di sanatoria della inadempienza documentale di che trattasi.

Invero, secondo il Collegio, come chiarito di recente dall’Adunanza Plenaria con sentenza n. 9 del 24 febbraio 2014, in presenza di un obbligo dichiarativo ex lege non può trovare spazio la regolarizzazione disposta dalla stazione appaltante, non essendo consentita la produzione tardiva della dichiarazione mancante o la sanatoria della forma omessa. È stata più volte sconfessata la c.d. teoria del falso innocuo o sostanzialistica ponendo l’accento sulla necessità degli obblighi dichiarativi e sul valore della completezza delle dichiarazioni in sede di offerta, corollario di principi di matrice comunitaria come quelli della trasparenza, par condicio tra i partecipanti e proporzionalità (cfr. Cons. Stato n. 21/2012 già citata; idem Sez. III, 6 febbraio 2014 n.583).

Sicché – secondo la sentenza in commento – la carenza di dichiarazione costituisce violazione di un obbligo prescritto dalla legislazione che regge a monte la gara di che trattasi. Con la conseguenza che l’inverarsi di tale omissiva circostanza dovrebbe automaticamente produrre l’adozione della misura sanzionatoria di esclusione dalla procedura concorsuale a carico dell’attuale appellata e non il soccorso istruttorio.

Non è configurabile l’esperimento del c.d soccorso istruttorio di cui all’art. 46 D.Lgs. n. 163/2006 ai fini di ottenere una sorta di sanatoria della inadempienza documentale in ordine alla dichiarazione relativa alla posizione della impresa cedente. L’inosservanza di un tale onere documentale comporta la esclusione dalla gara del soggetto concorrente, ancorché la misura espulsiva non sia stata espressamente contemplata dalla lex specialis di gara

In termini antitetici, il Consiglio di Stato con la sentenza sez. IV, 1 settembre 2015, n. 4089 ha affermato che, in caso di cessione di azienda e di omessa dichiarazione relativa ai requisiti morali dell’amministratore dell’azienda ceduta, qualora la lex specialis non contenga una specifica comminatoria di esclusione, l’estromissione dalla gara potrà essere disposta solo in caso di effettiva assenza del requisito.

Il Collegio ha richiamato la sentenza dell’Adunanza Plenaria 16 ottobre 2013, n. 23 che “ha negato la possibilità di una diretta declaratoria di esclusione nel caso in cui l’omissione della dichiarazione sia riferita ad amministratore dell’azienda ceduta …stante la non univocità della norma circa l’onere dichiarativo dell’impresa nelle ipotesi in esame (cui va aggiunta, per il passato, l’incertezza degli indirizzi giurisprudenziali)”. Secondo il Supremo Consesso, qualora il bando di gara non contenga un’espressa comminatoria di esclusione, “quest’ultima potrà essere disposta non già per la mera omessa dichiarazione ex art. 38 cit., ma soltanto là dove sia effettivamente riscontrabile l’assenza del requisito in questione”.

Dello stesso tenore il Consiglio di Stato in data 2 ottobre 2015 nella pronuncia n. 4617, con la quale ha, tra l´altro, applicato il detto “nel più sta il meno” per risolvere le problematiche afferenti la omessa dichiarazione dell’assenza dei fatti di reati tassativamente menzionati dall’art. 38 del codice degli appalti per i quali è prevista la c.d. ‘esclusione automatica’[3]. È stato in particolare giudicato che nei casi di tal fatta deve applicarsi il principio secondo cui l’esclusione va disposta non già per il fatto (puramente formale) della mera omissione della dichiarazione, ma solamente in ragione ed a cagione dell’acclarata assenza (fatto rilevante e dirimente in quanto sostanziale) dei requisiti di moralità (C.D., Ad.Pl., 16.10.2013 n.23).

Sul punto il TAR Sicilia – Palermo, Sez. I, 16 dicembre 2014 n. 3331, ha osservato che i provvedimenti legislativi intervenuti di recente in ordine all’ambito del potere di soccorso istruttorio indicano un progressivo allontanamento da una dimensione formalistica delle valutazioni operate dalle stazioni appaltanti in sede di verifica del possesso, da parte dei concorrenti, dei necessari requisiti di partecipazione e, di contro, testimoniano l’emersione di una tensione legislativa decisamente orientata a privilegiare lo scrutinio dell’effettivo sostrato sostanziale sotteso alle dichiarazioni formulate dai concorrenti, scrutinio sostanziale che già buona parte della giurisprudenza si era orientata a fare.

3. Conclusioni

La disciplina dei requisiti generali di partecipazione può considerarsi il punto di arrivo di un’evoluzione normativa, imposta anche dal legislatore comunitario, diretta al superamento di un sistema in cui la P.A. aveva piena e insindacabile facoltà di scegliere il proprio interlocutore in spregio ad ogni regola di concorrenza e trasparenza.

Nell’applicazione pratica, la disposizione di cui all’art. 38, contenente complessi tecnicismi sulla disciplina della dimostrazione del possesso dei requisiti, ha dato adito alle più disparate contestazioni dell’operato delle stazioni appaltanti, innescando un ampio e miscellaneo contenzioso che ha finito per ostacolare  proprio il libero principio della concorrenza che si intendeva tutelare.

L’istituto del soccorso istruttorio avrebbe dovuto alleggerire tale contenzioso ma al contrario sembra aver aperto un nuovo capitolo concernente la sanabilità (o meno) delle irregolarità/omissioni delle dichiarazioni[4].

Si può così prendere agevolmente atto della lettura, ormai consolidata, che la giurisprudenza conferisce all’art. 38 D.Lgs. n. 163/2006, secondo cui, in caso di affitto/cessione d’azienda, così come del resto in tutte le vicende modificative della compagine societaria, sussiste in capo alla società cessionaria l’onere di presentare la dichiarazione relativa al possesso dei requisiti di cui all’art. 38 citato, anche con riferimento agli amministratori e direttori tecnici che hanno operato presso la società cedente nell’ultimo anno ovvero che, in tale periodo, sono cessati dalla relativa carica.

Resta invece aperta la questione in ordine alla sanabilità (o meno) dell’omessa dichiarazione tramite soccorso istruttorio.

Con la pronuncia in commento il Consiglio di Stato di fatto pare ripudiare la teoria sostanzialista che amplia le ipotesi che consentirebbero l’uso dell’istituto in questione. Il che sembra in controtendenza rispetto alla ratio legis sottesa alla novella normativa di cui all’art. 39 del D.L. 24.6.2014, n. 90 che, pur non essendo applicabile al caso di specie, era già in vigore al momento della decisione.

Tale lettura sembra ancorata alle coordinate ermeneutiche contenute nelle richiamate pronunce dell’Adunanza Plenaria, secondo cui in siffatti casi l’obbligo dichiarativo ex art. 38 scaturisce direttamente dalla legge. Sennonché esse sono comunque anteriori alla novella normativa di cui all’art. 39 del D.L. 24.6.2014, n. 90 (convertito in legge n.114 dell’11.8.2014), la quale ha ad ogni modo ampliato l’ambito del potere di soccorso istruttorio.

In tal contesto trova eco l’interpretazione sostanzialistica – difforme dalla sentenza in commento n. 5803/2015 – accolta da parte della giurisprudenza amministrativa che ritiene che in assenza di una puntuale prescrizione del bando di gara, non possa conseguire l’automatica esclusione del concorrente che abbia omesso tale dichiarazione, potendo in siffatti casi la Stazione Appaltante procedere all’esclusione solo ove vi sia la prova che, nella sostanza, gli amministratori per i quali è stata omessa la dichiarazione hanno pregiudizi penali. Si tratta di una lettura che non pare tener pienamente conto dei principi espressi dall’Adunanza Plenaria e che tende, con ogni probabilità, a temperare la misura espulsiva automatica riconnessa alla violazione di un obbligo dichiarativo ex lege.

D’altra parte, sebbene la sentenza in commento sia conforme all’approdo normativo e giurisprudenziale ante novella – non potendo trovare applicazione il novellato soccorso istruttorio -, la stessa non si è affatto addentrata nell’ambito del nuovo istituto. Né pare aver tenuto in considerazione quanto di recente espresso dal Consiglio di Stato, Ad. Pl. n. 16 del 30 luglio 2014, che, chiamato anch’esso a giudicare su una fattispecie in cui non era applicabile la novella legislativa, ha precisato chela riforma è espressione “della volontà univoca del legislatore di valorizzare il potere di soccorso istruttorio al duplice fine di evitare esclusioni formalistiche e di consentire le più complete ed esaustive acquisizioni istruttorie” e che “la stessa, ancorché non applicabile direttamente alla presente controversia (come chiarito dall’art. 39, comma 3) offre, quale indice ermeneutico, l’argomento della chiara volontà del legislatore di evitare (nella fase del controllo delle dichiarazioni e, quindi, dell’ammissione alla gara delle offerte presentate) esclusioni dalla procedura per mere carenze documentali (ivi compresa anche la mancanza assoluta delle dichiarazioni), di imporre un’istruttoria veloce, ma preordinata ad acquisire la completezza delle dichiarazioni (prima della valutazione dell’ammissibilità della domanda), e di autorizzare la sanzione espulsiva quale conseguenza della sola inosservanza, da parte dell’impresa concorrente, all’obbligo di integrazione documentale (entro il termine perentorio accordato, a tal fine, dalla stazione appaltante)”.


[1]Cfr. G. GRECO, I requisiti di ordine generale, in Trattato sui contratti pubblici, M.A. SANDULLI – R. De NICTOLIS – R. GAROFOLI (a cura di), Milano, 2008, 1267; F. CARDARELLI, Requisiti di ordine generale, in Codice dei contratti pubblici, Le nuove leggi amministrative, AA. VV., Milano, 2007, 418 ss.; R. PROIETTI, Requisiti di ordine generale, in Codice dell’appalto pubblico, S. BACCARINI – G. CHINÈ – R. PROIETTI (a cura di), Milano, 2a ed. 2015, 510; G. URBANO – M. GIUSTINIANI, Procedure per la scelta del contraente, in M. CLARICH (a cura di) Commentario al Codice dei contratti pubblici, Torino, 2010, 355 ss.; M. ZOPPOLATO, I requisiti di partecipazione ad appalti e concessioni di lavori pubblici, in R. GAROFOLI – M.A. SANDULLI (a cura di), Il nuovo diritto degli appalti pubblici, Milano, 2000, 220. G. BERGONZINI, I requisiti di partecipazione agli appalti pubblici di lavori, servizi e forniture, in R. VILLATA – M. BERTOLISSI – V. DOMENICHELLI – G. SALA (a cura di), I contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, Padova, 2014, 299 ss.; H. GARUZZO, Requisiti di ordine generale, in G.F. FERRARI – G. MORBIDELLI (diretto da) Commentario al codice dei contratti pubblici, Milano, 2013, 527 ss.; L.R. PERFETTI, Le misure volte a favorire la partecipazione alle gare, in F. LIGUORI – C. ACOCELLA (a cura di), Contratti della pubblica amministrazione e politiche di liberalizzazione, Napoli, 2014, 86 ss.

[2]Ex multis Cons. di St., sez. III, 15 luglio 2011, n. 4323; T.A.R. Abruzzo, 15 dicembre 2011, n. 681; T.A.R. Sardegna, I, 22 luglio 2011, n. 845; T.R.G.A. Trentino Alto-Adige, 18 luglio 2011, n. 202; T.A.R. Sicilia, sez. I, 29 giugno 2011, n. 1243; T.A.R. Veneto, sez. I, 27 gennaio 2011, n. 115; nonché da ultimo Adunanza Plenaria n. 21/2012.

[3]Si legge in detta sentenza che “posto che è incontrovertibile – come ben rappresentato da un proverbiale detto (atto ad esprimere con sintetica semplicità una intuitiva verità) – che “nel più sta il meno”, appare evidente che la dichiarazione attestante l’assenza – in capo al soggetto ‘controllato’ – di qualsiasi reato grave che incida sulla moralità e sulla capacità professionale (dichiarazione che comporterebbe, nel caso di opposto contenuto, un onere di valutazione da parte della Stazione appaltante), non può non includere, seppur implicitamente (dunque: non può che implicare), anche l’affermazione dell’assenza – in capo al medesimo soggetto – dei più gravi fatti di reato, tassativamente menzionati dall’art. 38 del codice dei contratti pubblici (nella specie: partecipazione ad una organizzazione criminale, corruzione, frode e riciclaggio), per i quali è prevista la c.d. ‘esclusione automatica’.”

[4]In proposito cfr. M. SANTISE, Coordinate ermeneutiche di Diritto amministrativi, Giappichelli Editore, 2015, pp. 113 e ss.

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Questo articolo è stato scritto da...

Avv. Adriana Presti
Avvocato amministrativista, esperto in contrattualistica pubblica
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