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1. Premessa

Come ormai noto, l’art. 204 del D.Lgs. 18.04.2016, n. 50 recante Attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, in Gazz. Uff. 19 aprile 2016, n. 91, S.O. n. 10, (nel prosieguo “Nuovo Codice degli Appalti”), con decorrenza dal 19.04.2016, ha inciso anche sulla disciplina relativa ai procedimenti giurisdizionali dinanzi ai tribunali amministrativi finalizzati alla cognizione della legittimità delle procedure ad evidenza pubblica.

La novella introdotta ai commi 2-bis e 6-bis dell’art. 120 del D.Lgs. 2.07.2010 n. 104 (nel prosieguo  “Codice del processo Amministrativo”), investe in maniera davvero penetrante la scansione procedurale del processo che negli anni si era stratificata e che non era stata mai così scalfita, almeno nella sua impostazione diacronica degli eventi processuali, se non nella dimidiazione dei termini decadenziali introdotta, a suo tempo, dall’art. 23-bis legge della vecchia cd. Legge TAR.     

Senza pretesa alcuna di riuscire esaustivamente a rappresentare quale possa essere l’intero ventaglio delle ricadute pragmatiche che le novelle legislative anzi citate siano capaci di dispiegare allorquando saranno applicate, l’intento del presente contributo è invece proteso verso un più modesto tentativo di comprendere da dove traggano origine le dette disposizioni e, introiettate le ragione genetiche della loro poiesi, provare ad invidiarne gli sviluppi attuativi.

2. Le nuove norme

In particolare l’art. 204, comma 1, lettere b) e d), d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 ha inserito nel tessuto dell’art. 120 del Codice del Processo Amministrativo, che già recava disciplina “accelerata” specifica per il rito giurisdizionale dedicato agli appalti e concessioni pubblici, due ulteriori commi che, secondo l’intento del legislatore, avrebbero la funzione e l’auspicio, da un lato, di semplificare la procedura giurisdizionale del “rito appalti”, e dall’altro, di determinare un effetto deflattivo di tale tipologia di contenzioso.

Tali modifiche si innestano in un fermo quanto vano tentativo, cui negli ultimi anni si è assistito, di ridurre la mole di cause in materia di appalti che ingolfano i Tribunali amministrativi italiani, come da ultimo l’innalzamento del costo del contributo unificato, la cui legittimità, tuttavia, con buona pace degli operatori economici del settore, è stata dichiarata da parte Corte di Giustizia con la sentenza 6 ottobre 2015 resa sulla causa C‑61/14.  

Questa volta, a mezzo delle modifica introdotte al Codice del Processo dal Nuovo Codice degli Appalti, non potendosi ulteriormente incidere sulla “tasca” degli operatori economici, il legislatore ha pensato di rendere il lavoro degli avvocati che si cimentano in tale delicata materia assai più complesso se non improbo, a scapito, ancora una volta, dell’effettività della tutela degli interessi degli operatori di mercato del settore delle commesse pubbliche.

Il provvedimento che determina le esclusioni dalla procedura di affidamento e le ammissioni ad essa all’esito della valutazione dei requisiti soggettivi, economico-finanziari e tecnico-professionali va impugnato nel termine di trenta giorni, decorrente dalla sua pubblicazione sul profilo del committente della stazione appaltante, ai sensi dell’articolo 29, comma 1

I commi che sono stati inseriti nell’art. 120 del Codice del Processo Amministrativo sono i seguenti:

2-bis. Il provvedimento che determina le esclusioni dalla procedura di affidamento e le ammissioni ad essa all’esito della valutazione dei requisiti soggettivi, economico-finanziari e tecnico-professionali va impugnato nel termine di trenta giorni, decorrente dalla sua pubblicazione sul profilo del committente della stazione appaltante, ai sensi dell’articolo 29, comma 1, del codice dei contratti pubblici adottato in attuazione della legge 28 gennaio 2016, n. 11. L’omessa impugnazione preclude la facoltà di far valere l’illegittimità derivata dei successivi atti delle procedure di affidamento, anche con ricorso incidentale. E’ altresì inammissibile l’impugnazione della proposta di aggiudicazione, ove disposta, e degli altri atti endo-procedimentali privi di immediata lesività.

6-bis. Nei casi previsti al comma 2-bis, il giudizio è definito in una camera di consiglio da tenersi entro trenta giorni dalla scadenza del termine per la costituzione delle parti diverse dal ricorrente. Su richiesta delle parti il ricorso è definito, negli stessi termini, in udienza pubblica. Il decreto di fissazione dell’udienza è comunicato alle parti quindici giorni prima dell’udienza. Le parti possono produrre documenti fino a dieci giorni liberi prima dell’udienza, memorie fino a sei giorni liberi prima e presentare repliche ai nuovi documenti e alle nuove memorie, depositate in vista della camera di consiglio, fino a tre giorni liberi prima. La camera di consiglio o l’udienza possono essere rinviate solo in caso di esigenze istruttorie, per integrare il contraddittorio, per proporre motivi aggiunti o ricorso incidentale. L’ordinanza istruttoria fissa per il deposito di documenti un termine non superiore a tre giorni decorrenti dalla comunicazione o, se anteriore, notificazione della stessa. La nuova camera di consiglio deve essere fissata non oltre quindici giorni. Non può essere disposta la cancellazione della causa dal ruolo. L’appello deve essere proposto entro trenta giorni dalla comunicazione o, se anteriore, notificazione della sentenza e non trova applicazione il termine lungo decorrente dalla sua pubblicazione.

Se sul comma 6-bis, essendo squisitamente processuale, ben poche considerazioni possono spendersi al momento, in ordine al contenuto prescrittivo del comma 2 bis, al contrario, sin da ora, appaiono evidenti alcune criticità di cui è necessario tener conto e su cui la presente disamina ha modo di concentrarsi.

3. Il divieto di impugnativa di provvedimenti non dotati di immediata lesività

Partiamo dalla fine.

La norma prevede apertis verbis ciò che la giurisprudenza predicava da anni: “E’ altresì inammissibile l’impugnazione della proposta di aggiudicazione, ove disposta, e degli altri atti endo-procedimentali privi di immediata lesività”.

Nulla di nuovo sotto il sole.

L’atto dell’impugnazione del provvedimento di esclusione o dell’aggiudicazione del contratto o di altro provvedimento che segni comunque, per l’interessato, un arresto procedimentale (tra le tante CdS , sez. V 14.1.2009 n. 102, Tar Napoli 10.3.2009, n 1371, Tar Cagliari 7.4.2008 n. 642, Tar Milano 10.8.2009 n. 4572)

A ben vedere, la giurisprudenza ha da sempre sottolineato il principio generale per cui gli atti endoprocedimentali non sono immediatamente impugnabili, salvo che si tratti di atti di natura vincolata idonei ad imprimere un indirizzo ineluttabile alla determinazione conclusiva (Tar Sicilia Catania 30.10.2008 n. 1889), sottolineando come l’atto dell’impugnazione del provvedimento di esclusione o dell’aggiudicazione del contratto o di altro provvedimento che segni comunque, per l’interessato, un arresto procedimentale (tra le tante CdS , sez. V 14.1.2009 n. 102, Tar Napoli 10.3.2009, n 1371, Tar Cagliari 7.4.2008 n. 642, Tar Milano 10.8.2009 n. 4572).

Si è infatti riconosciuto che “la regola secondo la quale l’atto endoprocedimentale non è autonomamente impugnabile (la lesione della sfera giuridica del soggetto destinatario dello stesso essendo normalmente imputabile all’atto che conclude il procedimento) incontra un’eccezione nel caso di atti di natura vincolata (pareri o proposte), idonei come tali ad imprimere un indirizzo ineluttabile alla determinazione conclusiva, di atti interlocutori, idonei a cagionare un arresto procedimentale capace di frustrare l’aspirazione dell’istante ad un celere soddisfacimento dell’interesse pretensivo prospettato, e di atti soprassessori, che, rinviando ad un avvenimento futuro ed incerto nell’an e nel quando il soddisfacimento dell’interesse pretensivo fatto valere dal privato, determinano un arresto a tempo indeterminato del procedimento che lo stesso privato ha attivato a sua istanza idonei, come tali, ad imprimere un indirizzo ineludibile alla determinazione conclusiva” (così: C.d.S., Sez. IV, 4 febbraio 2008, n. 296; id., 11 marzo 2004, n. 1246; 11 marzo 1997, n. 226; Sez. VI, 9 ottobre 1998, n. 1377).

Tale argomentare è stato poi trasposto, in ossequio all’indicazione nomofialttica proveniente dall’Adunanza Plenaria n. 4/11, sul piano dell’ammissibilità della diretta impugnabilità del Bando di gara, sottolineando in tal caso che “… è sufficiente ricordare l’orientamento consolidato della giurisprudenza, secondo il quale soggiacciono all’onere della immediata impugnazione le sole clausole che impediscano la partecipazione o impongano oneri manifestamente incomprensibili o del tutto sproporzionati ovvero che rendano impossibile la stessa formulazione dell’offerta, mentre per le altre previsioni, comprese quelle concernenti i criteri di valutazione e attribuzione dei punteggi, l’interesse al ricorso nasce con gli atti che ne facciano applicazione, quali l’esclusione o l’aggiudicazione definitiva a terzi, in quanto effettivamente lesivi della situazione giuridica tutelata (cfr., in ultimo, Cons. Stato, III, n. 921/2016, n. 2413/2015 e n. 491/2015; IV, n. 361/2015; V, n. 3776/2015, n. 5296/2015 e n. 5218/2015)”[1].

La funzione ultima che l’ordinamento giuridico riconnette all’inibizione delle diretta impugnativa di atti di natura endoprocedimentali, come di recente sottolineato dal Consiglio di Stato, SEZ. VI, 21 luglio 2016, n. 3303 è quella di evitare lo svolgimento di attività processuali inutili, ovvero un inutile dispendio di risorse pubbliche, quali sarebbero quelle implicate dall’esercizio della giurisdizione in assenza di una posizione differenziata e qualificata, giuridicamente rilevante, che il ricorrente possa soddisfare attraverso l’eventuale accoglimento del suo ricorso (Conferma della sentenza del T.a.r. Lazio, Roma, sez. II, n. 8750/2015).

Alla luce dell’excursus ermeneutico anzi ricordato, non si può che accogliere di buon grado la positivizzazione di un principio che, seppur di provenienza pretoria, è ormai considerato come ius receptum.

4. L’onere di impugnativa delle ammissioni

Nel coerente contesto ermeneutico anzi rappresentato, come detto addirittura positivizzato nell’ultima proposizione del comma 2-bis, si innesta invece la rivoluzione proposta dal legislatore della riforma delle procedura d’appalti, laddove esordisce nel suddetto comma prescrivendo che “Il provvedimento che determina le esclusioni dalla procedura di affidamento e le ammissioni ad essa all’esito della valutazione dei requisiti soggettivi, economico-finanziari e tecnico-professionali va impugnato nel termine di trenta giorni”, prevedendo poi, a cornice, una norma a scopo decadenziale che stabilisce altresì che “L’omessa impugnazione preclude la facoltà di far valere l’illegittimità derivata dei successivi atti delle procedure di affidamento”.

Ma facciamo un passo indietro.

Al pari degli esempi di inammissibilità di impugnative dirette verso atti endoprocedimetnali rammentati nel paragrafo che precede, la giurisprudenza ha graniticamente spiegato che “secondo il pacifico orientamento della giurisprudenza il concorrente, mentre ha interesse a dolersi della propria esclusione dalla gara ovvero di clausole impeditive della partecipazione, non è titolare di un’analoga posizione nel caso intenda contestare l’ammissione di altro partecipante dal momento che tale atto, di natura endoprocedimentale, non possiede un’autonoma lesività” (T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. III 4 gennaio 2016 n. 10; Cons. Stato, sez. VI, 11 marzo 2015 n. 1261; T.A.R. Toscana, sez. I, 27 ottobre 2011, n. 1596).

Secondo il pacifico orientamento della giurisprudenza il concorrente, mentre ha interesse a dolersi della propria esclusione dalla gara ovvero di clausole impeditive della partecipazione, non è titolare di un’analoga posizione nel caso intenda contestare l’ammissione di altro partecipante dal momento che tale atto, di natura endoprocedimentale, non possiede un’autonoma lesività”

Tale è, a parere della concorde giurisprudenza, il granitico presupposto legale perché possa rinvenirsi in capo al ricorrente un interesse attuale e differenziato quale posizione legittimante di una impugnativa; con la novella citata tale presupposto, come dalla giurisprudenza negli anni ricostruito, viene del tutto eliso prevedendo, invece, l’onere di tempestiva impugnazione di un atto squisitamente endoprocedimentale: del provvedimento che determina le ammissioni.     

In effetti è la stessa relazione d’accompagnamento al Nuovo Codice dei Contratti che chiarisce quale sia l’effetto che si pretende di ottenere attraverso l’introduzione dell’onere della diretta impugnativa dell’ammissione alla gara: si prevede che i vizi relativi all’ammissione e all’esclusione dalla gara per carenza dei requisiti soggettivi, economico-finanziaria e tecnico-professionali sono considerati immediatamente lesivi e sono ricorribili dinanzi al giudice amministrativo, precludendosi la facoltà di far valere l’illegittimità derivata dei successivi atti della procedura di gara, anche con ricorso incidentale.

Relazione d’accompagnamento: si prevede che i vizi relativi all’ammissione e all’esclusione dalla gara per carenza dei requisiti soggettivi, economico-finanziaria e tecnico-professionali sono considerati immediatamente lesivi e sono ricorribili dinanzi al giudice amministrativo, precludendosi la facoltà di far valere l’illegittimità derivata dei successivi atti della procedura di gara, anche con ricorso incidentale.

In altre parole, il legislatore, in deroga al principio generale che poi manifesterà a chiosa del comma 2-bis circa l’inammissibilità delle impugnative di provvedimenti non aventi capacità di incidere direttamente nella sfera giuridica dei concorrenti alle gare pubbliche, ha stabilito che l’atto endoprocedimentale di ammissione alla gara, in ispregio della sua natura, viene qualificato ex lege come direttamente lesivo e pertanto passibile di diretta censura.

5. Conclusioni: lo stallo alla messicana. Una annotazione circa l’applicazione della sentenza “Puligienica”

L’intento deflattivo è evidente.

Si ponga il caso di una qualsiasi gara di lavori pubblici dall’ammontare a base d’asta non elevato, cui di regola partecipano decine di concorrenti.

L’onere del legale del concorrente sarà quello di valutare, nel breve termine decadenziale previsto dal comma 2-bis, anzi, più correttamente, nel breve termine tra l’accesso ai documenti amministrativi relativi ad un tale ventaglio di partecipanti ed il suddetto termine decadenziale, se vi siano soggetti che illegittimamente abbiano superato il vaglio della commissione di gara ed eventualmente, avverso la loro ammissione, proporre da subito impugnativa, pena la tardività delle relative censure, qualora fossero spese, invece, contestualmente all’impugnativa dell’aggiudicazione, come oggi avviene.

Né appare possibile prospettare l’idea che i 30 giorni per l’impugnativa decorrano dalla presa visione dei documenti di cui si richiesto accesso, atteso che la giurisprudenza è ormai concorde nel ritenere che il dies a quo per proporre impugnativa decorra dalla percezione della lesività dell’atto[2], che ora è ex lege temporalmente stabilita nella pubblicazione, entro due giorni dalla seduta, del verbale di gara dove sono accertate le ammissione dei concorrenti.

In una tale kafkiana situazione: delle due l’una.

O ci si ritroverà dinanzi ad una pletora di controinteressati che, una volta ricevuto il ricorso avverso la propria ammissione,  a loro volta spiegheranno reciprocamente ricorso incidentale incrociato, al fine di non incorrere nella sanzione decandenziale prevista dalla norma, così vanificando lo spirito deflattivo ispiratore della norma, oppure il legislatore ha creato scientemente i presupposti per quello che gli amanti del cinema di Sergio Leone e Quentin Tarantino chiamerebbero “lo stallo alla messicana”: quella classica situazione in cui, pur avendo le pistole ben puntate l’uno contro l’altro, nessuno fa niente finché nessuno fa niente.

In altre parole, ad avviso di chi scrive, appare verosimile che ci si possa ritrovare nella situazione in cui nessun concorrete impugni l’ammissione degli altri partecipanti e che pertanto la procedura si diriga verso la valutazione offerte, con l’effetto del consolidamento dell’inoppugnabilità di tutte le ammissioni; oppure, non sembra inverosimile preconizzare che solo qualora vi sia una comminatoria di esclusione di uno dei partecipanti e questi intenda impugnare la propria esclusione, dovendo lo stesso investire il giudice della cognizione della legittimità della sua estromissione, dovendo in ogni caso pagare l’ingente ammontare del contributo unificato, sborsare le somme per la parcella del legale incaricato ed in presenza delle decadenze oggi stabilite dalla norma, coglierà l’occasione per impugnare l’ammissione di qualche altro concorrente che versi, in ipotesi, in una situazione analoga oppure potenzialmente estromettibile dalla procedura, al fine di scremare il ventaglio di concorrenti per l’aggiudicazione, così innescando il meccanismo sopra paventato circa la reciproca impugnativa incidentale delle singole ammissioni.

Non si dubita, poi, che sarà assai oneroso per il Giudice investito, alla luce di quanto imposto dalla Corte UE nella sentenza “Puligienica” circa l’onere di valutazione di ogni impugnativa (principale o incidentale che sia) spesa da ogni singolo concorrente, dover valutare le decine di reciproche ed escludenti censure spiegate da tutti in contro interessati e ricorrente incidentali[3], senza poter ricorrere alla comoda inammissibilità per carenza di interesse.

Né si dubita che sia la Corte Costituzionale sarà chiamata a vagliarne la sua coerenza con il principio dell’effettività della tutela giurisdizionale sancito dal combinato disposto art. 24 e 111 cost.

Al di là di tali considerazioni, attinenti più che altro alla “politica giurisdizionale”, il Giudice Amministrativo sarà inoltre deputato, ragionando invece di diritto, a dirimere l’antinomia interna al comma 2 bis, in termini di specialità ovvero di mera prescrittività, laddove si enuncia un principio generale circa l’inammissibilità delle impugnative dilatorie di atti non immediatamente lesivi, del tutto condiviso dalla stratificata giurisprudenza, salvo poi derogarlo non appena la norma “apre bocca” nel suo incipit che, al contrario, obbliga la tempestiva censura delle ammissioni dei concorrenti, atto, invece, di per sé non direttamente lesivo. 


[1] Consiglio di Stato, Sez. III, decisione 10 agosto 2016, n. 3595

[2] Il giudice amministrativo si è preoccupato di interpretare la locuzione “piena conoscenza” avendo cura di evidenziare come per essa deve intendersi, ai fini della tempestiva impugnazione, la consapevolezza dell’atto e della portata lesiva dello stesso (Cons. Stato Sez. IV 28/6/2011 n.5346; idem 28/1/2011 n.678; Cons. Stato Sez. V 3/3/2004 n.10223), affermando altresì che per la tardività occorre fornire da parte di chi la eccepisce precisi riscontri in ordine alla conoscenza dell’atto gravato in tempi antecedenti al termine decadenziale di impugnazione (Cons. Stato Sez. IV 7/5/2013 n.2462; Cons. Stato sez. V 5/2/2007 n.452).

[3] la Corte UE ha sostanzialmente affermato che: “in presenza di una censura incidentale “escludente”, non venga mai meno la legittimazione del ricorrente principale che abbia proposto anch’egli censure “escludenti”. La presentazione della domanda di partecipazione, in sostanza, differenzia la posizione rispetto a quella degli altri consociati che comunque non avrebbero titolo a concorrere, ed a quella degli altri imprenditori che, pur avendone titolo, non hanno inteso competere e qualifica normativamente la stessa, che viene tutelata direttamente dalle norme che disciplinano la procedura ad evidenza pubblica.  Una volta sorta la posizione di interesse legittimo con la tempestiva richiesta partecipativa, il cui lato interno è costituito dal rapporto con il bene della vita costituito dall’aggiudicazione diretta (interesse legittimo finale) o dalla chance di aggiudicazione (interesse legittimo strumentale), appare ben difficile ritenere che, con l’accertamento dell’illegittima ammissione alla gara del concorrente, l’interesse legittimo di quest’ultimo possa regredire ad interesse di mero fatto”.  Da tale prospettazione consegue, ad avviso dell’Autore, che “la partecipazione alla gara, sia pure illegittima, è sufficiente ad attribuire la posizione legittimante al ricorso, legittimazione che non può venire meno per effetto dell’accoglimento del ricorso incidentale “escludente”, atteso che quest’ultimo non è comunque in grado di compromettere la differenziazione e la qualificazione del ricorrente principale, vale a dire la posizione di interesse legittimo, e di far regredire la sua posizione a quella del quisque de populo.  La posizione del ricorrente principale, seguendo tale traiettoria argomentativa – se diverrebbe indifferenziata, essendo stata accertata l’illegittimità della sua ammissione, con riferimento allo svolgimento della gara da cui realizzare l’interesse finale all’aggiudicazione – rimarrebbe differenziata e qualificata con riferimento alla fase precedente per ottenere una nuova chance di aggiudicazione.  Di qui, l’impossibilità, permanendo entrambe le condizioni soggettive dell’azione, di dichiarare, a seguito dell’accoglimento del ricorso incidentale, l’inammissibilità totale del ricorso principale, il quale, invece, dovrebbe essere esaminato con riferimento a tutte le censure con cui è stata contestata l’ammissione alla gara dell’aggiudicatario ricorrente incidentale, alle quali è comunque sotteso l’interesse strumentale, perché idonee a determinare, se fondate, il travolgimento dell’intera procedura concorsuale non potendosi procedere ad una aggiudicazione legittima”.

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Questo articolo è stato scritto da...

Avv. Giuseppe Totino
Esperto in contratti pubblici
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