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Il panorama giurisprudenziale recente, ci consente una “rispolverata” ai concetti di rinnovo e proroga quali opzioni di natura eccezionale nell’ambito della vicenda contrattuale di un affidamento pubblico. A tal proposito il Consiglio di Stato di recente, con la sentenza n. 4081 del 01 agosto, è intervenuto rammentando anzitutto la eccezionalità di una vicenda (quella del rinnovo) che seppur contemperata dal nostro ordinamento, va prevista ed utilizzata con opportune cautele e particolari accortezze.

Ne sono la prova, non soltanto le previsioni chiare dell’art. 29 del Codice dei contratti in tema di calcolo del valore dell’affidamento, ove si contempla per la determinazione dell’importo dell’affidamento, il computo del valore di ogni opzione, ma altresì le molteplici indicazioni provenienti dal fronte comunitario, con il richiamo all’esigenza di tutela dei principi di trasparenza, rotazione e libera concorrenza, filtrati attraverso gli interventi dell’ex Avcp che di par suo, poco favorevolmente giudica, quella che sovente valuta, come un’autentica forzatura alle ragioni di pari opportunità del mercato.

La questione analizzata dal Consiglio ha evidenziato un principio ribadito anche in passato – e talvolta trascurato – per il quale l’istituto del rinnovo dei contratti d’appalto di forniture e servizi in favore del medesimo contraente, è una opzione possibile quando tale facoltà sia stata prevista negli atti di gara e venga esercitata, in modo espresso e con adeguata motivazione, alle medesime condizioni e per un tempo predeterminato e limitato.

L’amministrazione va a frazionare la durata complessiva del contratto ipotizzando la possibilità (non l’obbligo) del rinnovo, riservandosi in concreto di valutare – in conformità all’interesse pubblico – la convenienza complessiva del rapporto, non vincolandosi nel lungo periodo, sentendo anche la responsabilità di reperire sul mercato condizioni migliori in ossequio ai principi di buona amministrazione, qualora non fosse ritenuta conveniente la prosecuzione del rapporto in essere (Consiglio di Stato, Sez. III, n. 3580 del 5 luglio 2013).

L’esigenza di spuntare migliori condizioni attraverso l’istituto del rinnovo dovrà perciò essere opportunamente prevista ab origine nella documentazione di gara, e tale previsione (che condurrà ad un nuovo contratto e ad un nuovo CIG) potrebbe o meno indirizzare l’Amministrazione altrove al termine della naturale vicenda contrattuale, selezionando un diverso contraente o confermando quello uscente.

Non va dimenticato infatti che tanto la proroga, tanto il rinnovo (giuridicamente e funzionalmente differenti tra loro), sono e restano opzioni eccezionali ed ipotetiche, non si impongono e non divengono scelta obbligata da parte dell’amministrazione la quale può a fine del periodo contrattuale certo – come nel caso che ha impegnato il Consiglio di Stato – ricorrere a tutti gli strumenti che l’ordinamento le mette a disposizione per attuare quelle scelte di opportunità e convenienza economica che legittimano la propria azione.

Legittimo perciò ricorrere anche alle convenzioni Consip senza che l’amministrazione ricorrente motivi la propria scelta, neanche con una modesta motivazione, o addirittura ricorra alle centrali di committenza regionali di riferimento costituite ai sensi dell’articolo 1, comma 455, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, pena la nullità dei contratti stipulati in violazione di quanto disposto da tale previsione, nonché eventuale causa di responsabilità amministrativa. Anzi, nel caso in discussione sussisteva un vero e proprio obbligo dell’amministrazione pubblica (amministrazione sanitaria nel caso di specie) di ricorrere necessariamente a Consip.

L’amministrazione ha ritenuto di orientarsi su Consip per soddisfare il proprio bisogno, rivalutando le proprie necessità e la convenienza del contratto a stipularsi. Valutazioni che sono solo ed esclusivamente dell’Amministrazione e che certamente non possono far passare l’idea sostenuta invece dall’appellante e per la quale: all’art. 1, comma 13, del d.l. 6 luglio 2012, convertito in legge 7 agosto 2012, n. 135, è previsto il diritto in capo alle amministrazioni di recedere dai contratti in corso solo se le condizioni previste dalle convenzioni Consip sono migliorative rispetto ai contratti in essere e tali da riassorbire anche l’indennizzo dovuto all’appaltatore. Mentre, nella fattispecie, l’Amministrazione aveva affidato il servizio al diverso operatore economico affidatario della convenzione Consip a condizioni molto meno vantaggiose sotto il profilo economico e qualitativo rispetto a quelle previste dal rapporto in essere. E tale valutazione deve ritenersi operata sulla base di una pluralità di elementi riguardanti la gestione dell’appalto e i possibili risparmi (anche indiretti) per la procedura seguita.

Tra l’altro va ricordato che una rinnovazione del rapporto contrattuale sarebbe stata (eventualmente) possibile solo alle medesime condizioni del precedente rapporto; mentre nel caso trattato dal Consiglio di Stato va letta chiaramente l’idea dell’Amministrazione di valutare una nuova tipologia di servizio, più ampia di quella oggetto del precedente contratto e ben regolamentata proprio dalla convenzione Consip, tanto da favorire la scelta in tal senso da parte dell’Amministrazione pubblica. Ed anche per questo l’Amministrazione non poteva prendere in considerazione la proposta dell’aggiudicatario uscente di svolgere in proroga, senza compensi aggiuntivi il contratto in chiusura.

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Avv. Giuseppe Croce
Avvocato specializzato in materia di diritto civile e amministrativo, esperto in materia di appalti pubblici
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