Sending
Questo articolo è valutato
0 (0 votes)

1. Introduzione

Il decreto legislativo 90/2014 (in vigore dal 25giugno 2014,  giorno successivo alla pubblicazione in G.U.) come noto, con l’articolo 39 ha modificato, ampliandolo, il dovere di soccorso istruttorio della stazione appaltante, introducendo accanto al tradizionale soccorso istruttorio di tipo specificativo (art. 46, comma 1, del codice dei contratti) un soccorso di tipo integrativo, rafforzato e  a pagamento che consente una regolarizzazione della documentazione prodotta in fase di presentazione della domanda di gara anche attraverso la produzione di documenti/dichiarazioni non presentati/rese entro i termini di scadenza della presentazione della  domanda.

In particolare, l’articolo 39 del d.l. 90/2014, modificato in sede di conversione con la legge 114/2014, ha innestato due nuovi commi in disposizioni di capitale importanza del codice ovvero il comma 2-bis, dell’articolo 38 ed il comma 1-ter dell’articolo 46.

Con la prima delle citate, il legislatore ha puntualizzato che “la mancanza, l’incompletezza e ogni altra irregolarità essenziale degli elementi e delle dichiarazioni sostitutive di cui al comma 2 (nda dell’articolo 38 del codice) obbliga il concorrente che vi ha dato causa al pagamento, in favore della stazione appaltante, della sanzione pecuniaria stabilita dal bando di gara, in misura non inferiore all’uno per mille e non superiore all’uno per cento del valore della gara e comunque non superiore a 50.000 euro, il cui versamento è garantito dalla cauzione provvisoria. In tal caso, la stazione appaltante assegna al concorrente un termine, non superiore a dieci giorni, perché siano rese, integrate o regolarizzate le dichiarazioni necessarie, indicandone il contenuto e i soggetti che le devono rendere. Nei casi di irregolarità non essenziali ovvero di mancanza o incompletezza di dichiarazioni non indispensabili, la stazione appaltante non ne richiede la regolarizzazione, né applica alcuna sanzione. In caso di inutile decorso del termine di cui al secondo periodo il concorrente è escluso dalla gara. Ogni variazione che intervenga, anche in conseguenza di una pronuncia giurisdizionale, successivamente alla fase di ammissione, regolarizzazione o esclusione delle offerte non rileva ai fini del calcolo di medie nella procedura, né per l’individuazione della soglia di anomalia delle offerte”.

Con la modifica dell’articolo 46 (innesto del comma 1-ter) si è sottolineato che il soccorso integrativo può applicarsi anche a carenze/irregolarità/incompletezze  delle dichiarazioni (ed elementi) di terzi  che debbono essere prodotte in base alla legge, bando di gara o disciplinare d’appalto.

Già si anticipa, anche per le molteplici difficoltà interpretativo/applicative della novella – nonostante gli interventi dell’ANAC –  che tali innesti sono avvenuti senza la modifica di altre norme sostanziali in tema di esclusione ed in particolare il comma 1-bis dell’articolo 46 del codice in cui viene consacrato il principio della tassatività delle cause di esclusione.

2. Le difficoltà interpretative (negli atti preparatori e nella giurisprudenza)

Le difficoltà interpretative che avrebbe posto la norma sono state evidenziate immediatamente già in fase di studio del testo normativo  da parte degli uffici della camere (e quindi già sul testo del decreto legislativo 90/2014 parzialmente diverso, come si dirà, dell’attuale formulazione voluta in fase di conversione).

Non a caso, già dalle prime letture degli uffici legislativi della Camera si è evidenziato che la disposizione “non chiarisce quando le irregolarità possano definirsi “essenziali” e quando le dichiarazioni possano considerarsi “non indispensabili”; tale valutazione è rimessa infatti alla discrezionalità della stazione appaltante, la quale ha per altro la facoltà di consentire la regolarizzazione in luogo dell’esclusione dalla gara”.

E, soprattutto – e sul dato si dovrà tornare più avanti alla luce del contrasto ANAC/giurisprudenza -, secondo le schede di lettura “andrebbe, altresì, chiarito se il pagamento sia comunque dovuto anche laddove il concorrente non intenda sanare la propria posizione nel termine assegnatogli”.

Allo stesso modo, nelle schede relative agli elementi di valutazione del  testo da approvare, si è  rilevato che le nozioni di irregolarità “essenziali” o di dichiarazioni “non indispensabili” non risultano di uso corrente nell’ordinamento e – non risultando sufficientemente univoche – possono ingenerare dubbi in fase applicativa”.

Risultava già chiaro, in tempi – sia consentito – non sospetti, che la formulazione della disposizione pur con una ratio condivisibile e necessaria, ovvero ridurre il contenzioso determinato dalle esclusioni fondate su  aspetti meramente formali e, al contempo, mutare l’approccio delle stazioni appaltanti dirigendola verso una riflessione di tipo  sostanziale degli errori commessi dagli appaltatori in fase di partecipazione alla competizione, finiva sintetizzata però in un testo  discutibile e foriero di variegate interpretazioni. E l’attuale contenzioso ne è una chiara dimostrazione.

Ancora il Consiglio di Stato in Adunanza Plenaria, con la sentenza n. 16/2014 ha affermato che “la disposizione (nda l’art. 39  del decreto legge 90/2014), (…) distingue, con un lessico infelice e foriero di incertezze interpretative ed applicative (e, quindi, anche di contenzioso), la diversa fattispecie di irregolarità non essenziali o di mancanza o incompletezza di dichiarazioni non indispensabili, per la quale viene esclusa la necessità di regolarizzazione e, a fortiori, l’applicabilità della sanzione dell’esclusione”.  

Da tenere a mente che tali rilievi del collegio sono stati espressi addirittura sul testo della norma come presentato con il decreto legge 90/2014 che francamente appariva più chiaro dell’attuale formulazione che, con  la legge di conversione 114/2014, ora  fa precedere il riferimento alla dichiarazione sostitutiva (con cui si autocertifica il possesso  dei requisiti richiesti) con l’inciso “degli elementi e”.

Non può sfuggire al  RUP ed in genere all’operatore che questo riferimento – come sottolineato da molti commentatori – estende l’ambito applicativo del soccorso istruttorio a pagamento in modo praticamente illimitato generando più dubbi che certezze.

Si pensi solamente, per il momento, alle questioni relative alla possibilità di regolarizzare addirittura aspetti dell’offerta tecnica ed economica nel caso in cui questa risulti carente della sottoscrizione. Circostanza ammessa addirittura dall’ANAC ma sostanzialmente negata dalla prima giurisprudenza.

L’inciso voluto dal legislatore  della conversione ha,  pertanto, complicato una disposizione già complessa – sotto il profilo applicativo – fin dalla sua primigenia formazione.

In primo luogo, come evidenziato dagli uffici legislativi delle camere, la norma nulla evidenzia circa la precisa configurazione delle irregolarità essenziali con la conseguenza che compete al RUP la corretta enucleazione ed evidenziazione nel bando di gara o nella lettera di invito.

La stessa procedimentalizzazione di questa forma  di soccorso aggiuntiva alla tradizionale (di tipo specificativo), pur apparentemente semplice nella formulazione risulta per certi versi, dapprima complicata dall’ANAC con la determinazione n. 1/2015 (si pensi alla questione della sanzione pecuniaria), quindi dalla stessa giurisprudenza (si pensi alla recente configurazione del termine di 10 giorni, da assegnare  all’appaltatore per la regolarizzazione/integrazione,   configurato non più come perentorio ma come termine ordinatorio e, quindi, addirittura prorogabile in presenza di oggettive motivazioni).

Altrettanto complessa è risultata l’applicazione dell’ultimo periodo del comma in commento  che innesta il c.d. principio di invarianza della soglia di anomalia che impone l’esigenza di individuare definitivamente la fase della procedura di gara oltre la quale   deve ritenersi  definitivamente preclusa la possibilità della stazione appaltante di modificare le decisioni adottate (solo di recente chiarita in giurisprudenza come si vedrà più avanti).

3. La procedimentalizzazione del soccorso istruttorio         

Le innovazioni sostanziali della nuova diposizione sono evidenti.

In primo luogo, la norma ammette la possibilità di integrare le carenze della domanda di partecipazione alla gara (si tratterà poi di capire fino a che punto deve ritenersi consentita la regolarizzazione).

La possibilità di integrazioni postume ovvero post scadenza del termine per partecipare alla gara,  se rappresenta una novità per l’ordinamento giuridico domestico non lo è per la prassi comunitaria. Con una differenza sostanziale ovvero che le direttive comunitarie – compresa la più recente 24/2014 – non prevedono  un soccorso di tipo oneroso  come invece stabilito  nel comma 2-bis dell’articolo 38.  

Circostanza questa che fa dubitare, non poco, della congruenza comunitaria della disposizione e che, in ogni caso, nella delega sul recepimento delle direttive comunitarie per la redazione del nuovo codice sembra destinare a scomparire con la previsione di un tipo di soccorso non oneroso per l’appaltatore.

La novità però, a sommesso avviso, di maggior rilievo almeno sotto il profilo pratico/operativo – e quindi con riferimento al RUP – è il tentativo di procedimentalizzare il soccorso.

Prevedere cioè lo schema di un procedimento amministrativo che il responsabile unico del procedimento deve attivare per consentire all’appaltatore, a seconda naturalmente della carenza/irregolarità commessa, di restare nella procedura che potrebbe condurre all’assegnazione dell’appalto ([1]).

La procedimentalizzazione, pur parziale (come si è detto e si ribadirà più avanti), costituisce effettivamente una novità in materia di appalti considerato che il primo comma dell’articolo 46 del codice dei contratti, sul soccorso specificativo, si limita a puntualizzare che con riferimento (nei limiti) agli  “articoli 38 a 45, le stazioni appaltanti invitano, se necessario, i concorrenti a completare o a fornire chiarimenti in ordine al contenuto dei certificati, documenti e dichiarazioni presentati”.

Di questa norma tutto si può dire tranne che indichi il procedimento da seguire. Anzi, è  bene annotare che in passato si è   ritenuto che la norma sancisse una mera prerogativa della stazione appaltante e non piuttosto un obbligo del RUP di chiedere chiarimenti su aspetti non chiari della documentazione prodotta.

Rappresenta, la norma, in definitiva, una camera asettica nei rapporti tra appaltatore/stazione appaltante abbastanza simile al preavviso di diniego sancito nel comma 10 –bis della 241/90 (fermo restando che  questo si sostanzia in un autentico provvedimento che preannuncia la decisione – con correlate motivazioni – di non accogliere le richieste dell’istante dando a questi la possibilità di replicare).

Nel caso del soccorso specificativo, il RUP non può giungere a conclusioni affrettate fondate su ciò che appare solo prima facie  dai documenti di gara ma ha l’obbligo di interagire con l’appaltatore chiarendo aspetti dubbi.

La norma però sul soccorso di specificazione di cui all’articolo 46 del codice,  non prevede, non disciplina la procedura che   il RUP deve seguire pur risultando applicabile  il modello di carattere generale previsto all’articolo 6 della legge 241/90.

Il  nuovo innesto sintetizzato con il comma 2-bis dell’articolo 38 del codice il legislatore ha previsto  invece un autentico  minus procedurale specifico.

Secondo la norma, il procedimento amministrativo (o se si preferisce sub-procedimento) si atteggia come proposta del RUP all’appaltatore che ha  commesso delle  irregolarità su elementi qualificati (dalla stazione appaltante in base anche alla legge) come essenziali, o non ha allegato documenti o indicato elementi essenziali o formulato dichiarazioni (e presentato documentazione) incomplete in relazione sempre a dati essenziali ovvero che avrebbe dovuto produrre/rendere sulla base delle indicazioni della legge speciale di gara.

In questo caso, dal dato letterale della disposizione (ma si dirà del contrasto interpretativo sorto tra ANAC e la giurisprudenza che alimenta le difficoltà applicative della disposizione) al verificarsi di tali accadimenti l’appaltatore è  tenuto a pagare una sanzione pecuniaria come determinata nel bando di gara secondo la formulazione della prescrizione  (“in misura non inferiore all’uno per mille e non superiore all’uno per cento del valore della gara e comunque non superiore a 50.000 euro, il cui versamento è garantito dalla cauzione provvisoria”).

In sostanza, dal testo normativo sembra desumersi una chiara volontà del legislatore di rendere la sanzione come effetto automatico in caso della violazione sugli elementi essenziali.

Non a caso, il secondo periodo incomincia con l’inciso “in tal caso…” . Ad intendere pertanto che solo dopo il pagamento si può aprire  il sub-procedimento attivato con la proposta di soccorso del RUP.

Pertanto, la possibilità di integrare non  appare nel testo della norma come controbilanciata dal pagamento,  nel senso che l’appaltatore sarebbe tenuto a pagare comunque per il semplice fatto di aver commesso l’irregolarità essenziale sanabile.

Quanto, a differenza di quanto sostenuto dall’ANAC con la determinazione n. 1/2015 che rimette il pagamento della sanzione alla decisione dell’appaltatore che, volendo, potrebbe “accettare” l’estromissione dalla competizione decidendo di non aderire alla proposta di soccorso e di non pagare l’importo richiesto.

Al verificarsi della fattispecie prevista – un errore in elementi ritenuti essenziali per competere – “la stazione appaltante assegna al concorrente un termine, non superiore a dieci giorni, perché siano rese, integrate o regolarizzate le dichiarazioni necessarie, indicandone il contenuto e i soggetti che le devono rendere. (…) In caso di inutile decorso del termine di cui al secondo periodo il concorrente è escluso dalla gara”.

La procedimentalizzazione, pertanto, emerge chiaramente dal primo, secondo e terzo periodo del comma in commento.

La fattispecie richiede uno sforzo interpretativo ed esplicativo da parte del RUP già in fase di redazione del bando di gara o nell’atto omologo (lettera di invito) soprattutto in relazione alle irregolarità essenziali che esigono il pagamento della sanzione, le irregolarità invece veniali che non richiedono alcun  pagamento, la misura della sanzione e la specificazione dei termini del procedimento conseguente.

Su questi aspetti si cercherà di focalizzare l’attenzione alla luce delle preziose riflessioni (a volte discutibili) dell’ANAC fornite soprattutto con la determinazione n. 1/2015 e della recente giurisprudenza che si è espressa sulla concreta applicazione operata dalle stazioni appaltanti.

4. La questione del pagamento della sanzione pecuniaria

Il pagamento della sanzione,  pertanto,  come si vedrà meglio più avanti, consente all’appaltatore di avere una ulteriore prerogativa di restare dentro il procedimento amministrativo di assegnazione dell’appalto se l’errore commesso è effettivamente tale e non una carenza sostanziale insanabile (o una violazione veniale che non richiede neppure l’intervento dell’appaltatore).

Si pensi – ed è il caso più banale – alla circostanza che l’appaltatore ometta, nella compilazione della dichiarazione sostitutiva, di dichiarare il possesso di un determinato  requisito generale.

In questo caso, configurata l’irregolarità in termini di carenza su elemento essenziale, l’appaltatore potrà restare nel procedimento – previo pagamento della sanzione – se il requisito risulti effettivamente posseduto ante scadenza del termine per presentare la domanda.

Pertanto, come più volte è stato evidenziato, il soccorso integrativo, naturalmente,  non consente una acquisizione postuma del requisito ma solo una certificazione  postuma del possesso.  

Attenendosi al dato testuale, e prescindendo per il momento  da quanto evidenziato dall’ANAC con la determinazione n. 1/2015 più volte richiamata, non sembra affatto che il pagamento sia condizionato dalla volontà dell’appaltatore di accettare la prerogativa della regolarizzazione.

Come anticipato, con la determinazione n. 1/2015 , l’ANAC si è soffermata sulla “unicità” della sanzione che può essere comminata – secondo il  range stabilito dalla norma (“in misura non inferiore all’uno per mille e non superiore all’uno per cento del valore della gara e comunque non superiore a 50.000 euro”) –  considerato che la fattispecie per cui l’appaltatore potrebbe essere sanzionato è sostanzialmente unica connotata da aspetti di irregolarità/carenza/mancanza  della dichiarazione.   

In tema, la determinazione chiarisce che “la norma non contempla, invece, la possibilità di graduare la sanzione in ragione della gravità dell’irregolarità commessa o in relazione alle singole fattispecie escludenti contemplate nel comma 1 dell’art. 38 (tenuto conto, peraltro, che tali fattispecie incidono tutte sull’affidabilità morale dell’impresa), in ragione del fatto che, in ogni caso, la sanzione è correlata all’unica categoria dell’essenzialità della mancanza, incompletezza ed irregolarità”.

E’ proprio però  in tema di applicabilità della sanzione che si registra una importante precisazione dell’ANAC totalmente contraria a quanto riportato – a titolo esemplificativo – nella bozza di consultazione.

Si legge nella determinazione che “la sanzione individuata negli atti di gara sarà comminata nel caso in cui il concorrente intenda avvalersi del nuovo soccorso istruttorio; essa è correlata alla sanatoria di tutte le irregolarità riscontrate e deve pertanto essere considerata in maniera onnicomprensiva”.

E’ del tutto evidente che l’aspetto applicativo/interpretavo della diposizione  cambia completamente: una volta che la stazione appaltante rilevasse l’errore sugli elementi essenziali, l’appaltatore deve essere invitato alla regolarizzazione/integrazione secondo il procedimento amministrativo definito dalla norma ([2])  e sarà tenuto a pagare solo qualora decidesse di regolarizzare/sanare le rilevate lacune della propria domanda di partecipazione.

Altrimenti, risulta “libero” di accettare l’esclusione (con le varie conseguenze connesse tipo segnalazione ed escussione cauzione provvisoria come sostenuto anche dalla recente giurisprudenza etc).

Come annotato, la questione della sanzione pecuniaria era già stata affrontata nelle considerazioni espresse dagli uffici della Camera in cui si evidenziava che   “andrebbe, altresì, chiarito se il pagamento (nda della sanzione) sia comunque dovuto anche laddove il concorrente non intenda sanare la propria posizione nel termine assegnatogli”.

L’ANAC sembra fornire un dato dirimente su questo argomento esprimendo una interpretazione che tende a prevedere condizioni meno vessatorie per gli appaltatori ed a vantaggio del c.d. favor partecipationis, ma, a sommesso avviso, quanto affermato non sembracorrispondere perfettamente al dettato della norma.

Sembra piuttosto chiaro che la norma collega la sanzione alla mancanza/incompletezza e ogni altra irregolarità essenziale.

In effetti, strutturata in questo modo ovvero nel senso che la sanzione è per così dire disponibile e, pertanto, solo chi intende avvalersi del soccorso è tenuto a pagarla, si è oggettivamente innanzi ad una fattispecie di soccorso istruttorio a pagamento.

Non solo, il concetto stesso di soccorso istruttorio viene ad essere praticamente capovolto: se nella sua accezione tradizionale (ed attuale ai sensi dell’articolo 46 del codice) il soccorso è da intendersi come doveroso da parte della stazione appaltante per chiarire, specificare e/o esplicitare documentazione già prodotta, in questo nuovo caso la prerogativa viene considerata come una sorta di possibilità “a pagamento” per evitare l’estromissione e restare nella competizione.

Ciò vale a dire,  che il soccorso si struttura come una proposta di regolarizzazione che deve trovare – per essere concretamente praticabile – il consenso della controparte.

La posizione sostenuta dall’ANAC non ha  trovato riscontro nella relazione di inaugurazione dell’anno giudiziario 2015 della Corte dei Conti.

Sul punto, la procura ha espresso una parere esattamente contrario a quello sostenuto dall’ANACevidenziando che la sanzione costituisce un obbligo per chi commette l’errore  non dipendendo affatto  (il pagamento) dalla decisione dell’operatore economico. Rilevando altresì che il mancato introito costituisce una possibile danno erariale.

Nella relazione in parola – disponibile sul sito della Corte dei Conti – si legge che “il meccanismo dell’assegnazione di un termine per la sanatoria, è accompagnato, (…), dalla previsione di una sanzione pecuniaria: lo scopo è chiaro, ed è quello di responsabilizzare i concorrenti a rendere dichiarazioni il più possibile completeeche la possibilità di comminare la sanzione non dipende affatto dalla decisione dell’appaltatore tant’è che – si afferma nel passaggio in commento – “la sanzione è dovuta anche ove il concorrente decida di non rispondere all’invito a regolarizzare. Il mancato introito della stessa può essere fonte di responsabilità amministrativo-contabile”.

Nel senso favorevole alla tesi sostenuta dall’ANAC, si è espresso però il Tar Parma, sez. I, sia pur con ordinanza cautelare n. 142/2015 depositata il 10 luglio.

L’ordinanza in commento fornisce un utile chiarimento sulla questione ritenendo persuasiva la posizione  espressa dall’ANAC con la determinazione n. 1/2015.

Nel caso di specie, il ricorrente impugnava la determinazione del dirigente della stazione appaltante  avente ad oggetto “escussione parziale della cauzione provvisoria prodotta dalla Ditta ricorrente a titolo di pagamento della sanzione pecuniaria per irregolarità essenziale riscontrata nei documenti di gara”.

Il giudice ha ritenuto fondata, in prima lettura,  l’interpretazione fornita dall’Authority  rilevando “che ad un primo sommario esame, il ricorso appare fondato essendo condivisibile l’interpretazione del comma 2 bis dell’art. 38 del Codice dei contratti data dall’ANAC e invocata dalla ricorrente, in quanto più in linea con la ratio deflattiva sottesa alla novella normativa in discorso”.

Per concludere  che  sarebbe “illogica e ingiustamente afflittiva la sanzione pecuniaria per il concorrente che, reso edotto dell’incompletezza o di altra irregolarità essenziale degli elementi e delle dichiarazioni sostitutive, scelga di ritirarsi dalla competizione (non avvalendosi del soccorso istruttorio) consentendo alla stazione appaltante di procedere celermente con le operazioni di gara senza strascichi giudiziari” (pertanto ha concesso la misura cautelare della sospensione dell’efficacia della determinazione di escussione della cauzione provvisoria fissando l’udienza per la trattazione del merito al 10 febbraio 2016).

Per completezza, appare maggiormente persuasiva la tesi contraria espressa con la più  recente sentenza del Tar Abruzzo, L’Aquila, sez. I, depositata il 25 novembre 2015 n. 784 in cui – in totale antitesi con l’interpretazione fornita dall’ANAC (con le determinazione n. 1/2015 e con il successivo comunicato del 23 marzo 2015) –  si statuisce  che la sanzione pecuniaria prevista nel comma 2 – bis dell’articolo 38 del codice dei contratti deve ritenersi applicabile “non solo quando il concorrente che sia incorso in un’irregolarità essenziale decida di avvalersi del soccorso istruttorio, integrando o regolarizzando la dichiarazione resa, ma anche nell’ipotesi in cui questi, non avvalendosi del soccorso istruttorio, venga escluso dalla procedura di gara”.

Il ricorrente, nel caso di specie, evidenziava l’illegittimo incameramento della cauzione provvisoria – a titolo di sanzione pecuniaria – da parte della stazione appaltante che avviava la procedura di soccorso istruttorio a cui, l’appaltatore decideva di non aderire.   

 Il giudice – occorre dire comunque in modo condivisibile – si discosta totalmente dall’interpretazione fornita dall’ANAC fornendo una interpretazione aderente anche al dato normativo che, oggettivamente, collega il pagamento della sanzione come effetto automatico della carenza/errore commessa dall’appaltatore.

Non solo, l’attento  estensore non ritiene – con dovizia di particolari – neanche plausibile la giustificazione fornita dall’autorità anticorruzione secondo cui l’interpretazione espressa con la determinazione n. 1/2015, che affermerebbe la necessità di procedere con il pagamento della sanzione solo nel caso in cui l’appaltatore decida di aderire alla proposta di soccorso istruttorio,  risulterebbe determinata dalla necessità di ossequiare la primazia del diritto comunitario che conosce il soccorso integrativo ma senza alcun onere finanziario a carico dell’appaltatore.

In realtà, rileva il Collegio, “nessun contrasto è ravvisabile tra la lettura interpretativa dell’art. 38, comma 2 bis, del d.lgs. n. 163 del 2006, secondo cui la sanzione ivi prevista è dovuta in caso di irregolarità essenziali ancorché l’impresa concorrente non intenda avvalersi del soccorso istruttorio della stazione appaltante” e la direttiva comunitaria 24/2014 che “ancorché non subordini l’esercizio di detta facoltà al pagamento di una sanzione pecuniaria, ma solamente all’osservanza dei principi di parità di trattamento e trasparenza, non esclude né bandisce come illegittima detta possibilità”.

5. Le irregolarità essenziali

Le irregolarità essenziali, senza pretesa di essere esaustivi,  non possono che riguardare – in sintesi – omissioni di tipo formale (carenza, irregolarità o mancanza) nella autodichiarazione sul possesso dei  requisiti di partecipazione che, pur  posseduti, non siano stati correttamente autodichiarati   e/o – ed in questo si sostanzia la novità –  le dichiarazioni (comprese quelle di terzi) risultino addirittura omesse.

Il problema delicato posto dalla norma rimane però la latitudine applicativa ovvero se questa si estenda fino a comprendere “lacune”  dell’offerta tecnica ed economica considerate le delicate implicanze rispetto al principio della par condicio tra competitori.  

Sul punto specifico, nella determinazione si legge che “è ragionevole ritenere che con la nozione di irregolarità essenziale il legislatore abbia voluto riferirsi ad ogni irregolarità nella redazione della dichiarazione, oltre all’omissione e all’incompletezza, che non consenta alla stazione appaltante di individuare con chiarezza il soggetto ed il contenuto della dichiarazione stessa, ai fini dell’individuazione dei singoli requisiti di ordine generale che devono essere posseduti dal concorrente e, in alcuni casi, per esso dai soggetti specificamente indicati dallo stesso art. 38, comma 1, del Codice”.

Secondo l’Authority l’affermata interpretazione si desumerebbe, “oltre che dalla ratio sottesa alla norma – che, peraltro, nel prevedere una specifica sanzione pecuniaria, intende realizzare l’obiettivo di evitare che a fronte della generale sanabilità delle carenze e delle omissioni, gli operatori siano indotti a produrre dichiarazioni da cui non si evinca il reale possesso dei singoli requisiti generali e l’esatta individuazione dei soggetti che devono possederli”, anche dal dato letterale della norma “che assume maggior pregnanza da una lettura sistematica dei primi due periodi del citato comma 2-bis. L’espresso riferimento al contenuto delle dichiarazioni ed ai soggetti che le devono prestare, rende palese l’intento del legislatore di estendere l’applicazione della norma a tutte le carenze – in termini di omissioni, incompletezze e irregolarità – riferite agli elementi ed alle dichiarazioni di cui all’art. 38 nonché agli aspetti relativi all’identificazione dei centri di imputabilità delle dichiarazioni stesse”.

Tra le ipotesi di irregolarità essenziali, viene annoverata anche l’assenza della copia del  documento di identità a corredo dell’offerta.

A sommesso parere,  pur vero che si tratta di errore che impedisce  all’autodichiarazione di produrre gli effetti “sostitutivi” rispetto ai documenti originali è  altresì vero che prevedere una sanzione per questa ipotesi significa interpretare formalmente la disposizione ma in modo piuttosto gravoso per gli appaltatori.

Completamente superata, in giurisprudenza, appare la questione relativa alla cauzione provvisoria che può anche mancare  ma, non trattandosi di elemento richiesto a pena di esclusione dalla norma, l’appaltatore può essere chiamato alla integrazione.   Allo stesso modo si ammette la produzione postuma del passoe che consente la verifica sui requisiti (per gli appalti superiori ai 40 mila euro)

Particolare attenzione, da parte dell’ANAC viene prestata – tra gli altri – riguardo ai rapporti eventuali tra avvalimento e soccorso istruttorio.

In tema di avvalimento, rileva l’autorità anticorruzione, “l’integrazione o la regolarizzazione non possono riguardare la dichiarazione di volontà di ricorso all’avvalimento (art. 49, comma 2, lett. a) del Codice). La dichiarazione di avvalimento costituisce, infatti, elemento costitutivo dei requisiti da possedersi, inderogabilmente, alla scadenza del termine perentorio di presentazione dell’offerta. Anche il contratto di avvalimento è evidentemente funzionale al possesso dei requisiti prescritti dal bando. Tuttavia, in ordine allo stesso si ritiene che possa operare l’istituto del nuovo soccorso istruttorio limitatamente all’ipotesi di mancata allegazione, per mera dimenticanza, del contratto che, in ogni caso, sia stato già siglato alla data di presentazione dell’offerta. La nuova disciplina del soccorso istruttorio dispiega, invece, pienamente la sua forza espansiva sugli altri adempimenti prescritti in ordine all’avvalimento”.

Viene ribadita l’impossibilità di esercitare il  soccorso istruttorio in relazione alla mancata indicazione del nominativo del subappaltatore  che (tranne nel caso di subappalto necessario per assenza delle qualificazioni nell’appaltatore anche se aspetto non completamente pacifico in giurisprudenza) non determina mai estromissione ma impossibilità di eseguire l’appalto, con la precisazione che “tale adempimento costituisce un presupposto essenziale in vista della successiva autorizzazione al subappalto da parte della stazione appaltante ma non ai fini della partecipazione alla gara: da ciò consegue che l’erroneità e/o la mancanza della dichiarazione non può essere, di per sé, assunta a fondamento di un provvedimento di esclusione, ma rappresenta solo un impedimento per l’aggiudicataria a ricorrere al subappalto, di modo che la stessa dovrà provvedere direttamente all’esecuzione della prestazione , ove in possesso dei requisiti prescritti”.

Nonostante molteplici dubbi espressi in dottrina, l’ANAC mantiene ferme le proprie considerazioni    in tema di obbligo del pagamento della tassa sulla gara, aspetto però sconfessato dalla giurisprudenza che ammette anche un pagamento tardivo (rispetto al termine di presentazione della domanda).

In questo senso, in determina si legge che “costituisce causa di esclusione l’omesso versamento del contributo dovuto all’Autorità ai sensi dell’art. 1, commi 65 e 67, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato). Di contro, un inadempimento meramente formale, consistente nell’aver effettuato il versamento seguendo modalità diverse da quelle impartite dall’Autorità stessa, oppure (alla luce della novella in esame) nell’aver omesso di allegare alla domanda di partecipazione la ricevuta di pagamento, non può essere sanzionato dalla stazione appaltante con l’esclusione, senza che si proceda ad un previo accertamento dell’effettivo assolvimento dell’obbligo in questione entro il termine decadenziale di partecipazione alla gara. La mancata allegazione del versamento disposto prima della scadenza del termine di presentazione dell’offerta può essere oggetto di soccorso istruttorio dietro pagamento della relativa sanzione”.

Condivisibilmente, con la determinazione si colma una lacuna contenuta nella bozza relativa alla questione di protocolli di legalità.

L’ANAC, come peraltro già affermato in giurisprudenza, ne afferma la possibilità di regolarizzazione in luogo dell’orientamento pregresso in cui, ogni irregolarità, veniva punita con l’estromissione dalla competizione.

In questo senso, nella determinazione, si legge  che “con riferimento ai protocolli di legalità, nella citata determinazione n. 4/2012, è stato ritenuto legittimo prescrivere, a pena di esclusione, l’accettazione delle condizioni contrattuali contenute nella documentazione di gara, tra le quali l’accettazione degli obblighi in materia di contrasto delle infiltrazioni criminali negli appalti previsti nell’ambito di protocolli di legalità/patti di integrità. Ciò in quanto tali strumenti sono posti a tutela di interessi di rango sovraordinato e gli obblighi in tal modo assunti discendono dall’applicazione di norme imperative di ordine pubblico. Appare evidente che gli strumenti in parola non attengono ad elementi dell’offerta e, pertanto, in linea generale, eventuali carenze in ordine alla dichiarazione di accettazione delle clausole del protocollo di legalità, devono ora ritenersi sanabili”.

Più delicata appare la risposta alla domanda se il nuovo soccorso integrativo ammetta anche regolarizzazioni sull’offerta tecnico/economica ed in particolare – escludendo francamente altre ipotesi – il caso della  carenza della sottoscrizione.  

In questo  caso non viene in rilievo un difetto in una dichiarazione di scienza ma una grave mancanza di una dichiarazione negoziale (di volontà).

A cui, francamente, la norma non sembra riferirsi ed in questo senso – ovvero nel senso dell’impossibilità di sanatoria  sia pur a pagamento – già la primissima giurisprudenza sembra escludere una sanatoria salvo il caso in cui  l’appaltatore  risulti già individuato. In questo senso l’ordinanza del Tar Sicilia, Palermo, sez. III, n. 1790/2015 in cui i fogli dell’offerta recavano comunque  il timbro della ditta partecipante.

Le problematiche poste dalla  carenza di sottoscrizione dell’offerta sono note. La stessa ANAC – ma è orientamento costante in giurisprudenza – con la determinazione n. 1/2015 puntualizza come la  sottoscrizione dell’offerta abbia la funzione “di ricondurre al suo autore l’impegno di effettuare la prestazione oggetto del contratto verso il corrispettivo richiesto ed assicurare, contemporaneamente, la provenienza, la serietà e l’affidabilità dell’offerta stessa; la sottoscrizione della domanda di partecipazione è un elemento essenziale che attiene propriamente alla manifestazione di volontà di partecipare alla gara”.

Non v’è dubbio,  pertanto, che si è in presenza di  un elemento essenziale della domanda di partecipazione alla gara nel suo complesso e non certo di dichiarazioni. 

E’ altresì vero, che la carenza di sottoscrizione non sembra essere essenziale in assoluto nel senso che per qualificarsi in questo modo ènecessaria una peculiare connotazione ovvero che da tale carenza derivi “incertezza” sulla provenienza dell’offerta (art. 46, comma 1-bis).

E’ proprio il caso appena citato del Tar Sicilia, Palermo in cui, oggettivamente, non insisteva alcuna incertezza sulla provenienza dell’offerta.  

L’attento giudice siciliano infatti puntualizza che “seppur l’irregolarità riscontrata è indiscutibile (nda offerta economica priva di sottoscrizione ma con il timbro della società) – e peraltro incontestata – l’Amministrazione non avrebbe dovuto disporre l’esclusione impugnata, a fronte della sicura riconducibilità dell’atto alla richiesta di partecipazione alla gara inoltrata dalla ricorrente. Indipendentemente dalla apposizione del timbro della società, risulta decisivo rilevare che l’atto si trovava all’interno del plico chiuso, contenente gli atti depositati a corredo alla domanda di ammissione alla gara, regolarmente sigillato e firmato in ogni lembo di chiusura. A fronte di tali emergenze, non appare discutibile la riconduzione dell’atto in questione alla richiesta di partecipazione alla gara inoltrata dalla ricorrente, ed, in assenza di alcuna incertezza sul punto, illegittimamente, ed in contrasto con il principio del favor partecipationis, ne è stata disposta l’esclusione (cfr. Consiglio di Stato, V, n. 954/2015)”.

La questione quindi, è che la sottoscrizione  rimane, pur sempre, un elemento essenziale (art. 73 e 74 del codice dei contratti)  che – oggettivamente – dovrebbe portare all’estromissione del concorrente ma, secondo l’ANAC, è possibile sanare tale mancanza attraverso il soccorso istruttorio a pagamento.  

Casella di testo: Nel caso in cui, la  carenza di sottoscrizione non determini comunque incertezza assoluta sulla provenienza dell’offerta, l’offerta è sempre valida e l’appaltatore non deve neppure essere chiamato a regolarizzare.

Sul punto,  sempre nella determinazione n. 1/2015 (nonostante le titubanze espresse con la bozza della determinazione da parte della  stessa Authority)la sottoscrizione pur vero che costituisce “un elemento essenziale; tuttavia, non impattando sul contenuto e sulla segretezza dell’offerta, la sua eventuale carenza si ritiene sanabile. Infatti, ferma restando la riconducibilità dell’offerta al concorrente (che escluda l’incertezza assoluta sulla provenienza), dal combinato disposto dell’art. 38, comma 2-bis e 46, comma 1-ter del Codice, risulta ora sanabile ogni ipotesi di mancanza, incompletezza o irregolarità (anche) degli elementi che devono essere prodotti dai concorrenti in base alla legge (al bando o al disciplinare di gara), ivi incluso l’elemento della sottoscrizione, dietro pagamento della sanzione prevista nel bando”.

Dal passo della determinazione dell’ANAC  n. 1/2015 si possono dedurre – a ben vedere –  due indicazioni. La prima riguarda il caso in cui la carenza della sottoscrizione determini incertezza sulla provenienza. In questo caso, la stessa autorità esclude la possibilità della sanatoria proprio perché collega la possibilità del soccorso solamente al caso in cui tale incertezza non ci sia.

Inoltre, questa precisazione è coerente con il comma 1-bis dell’articolo 46 del codice che – in relazione al caso di carenza di sottoscrizione che determina incertezza circa la provenienza – commina l’esclusione irrimediabile.

Il secondo caso, come visto, è una carenza di sottoscrizione che non comporta nessuna difficoltà e/o complicanza al RUP o alla commissione di gara.

Però, per questo caso, l’ANAC ritiene che l’appaltatore debba, per sanare l’errore, pagare la sanzione, situazione di per sé non priva di complicanze proprio perché l’appaltatore potrebbe rifiutarsi e “manipolare” (o contribuire a manipolare) con tale decisione le risultanze della competizione.

La seconda parte delle affermazioni dell’ANAC non sembra – a sommesso parere – allineata (neanche) con il disposto normativo di cui al comma 1-bis dell’articolo 46 del codice.

Come detto, nel fissare il principio di tassatività delle cause di esclusione, il comma 1-bis dell’articolo 46 del codice sembra tipizzare una specifica ipotesi estromissiva relativa alla sottoscrizione dell’offerta nel momento in cui, testualmente, statuisce che “la stazione appaltante esclude i candidati o i concorrenti (…) nei casi di incertezza assoluta (…) sulla provenienza dell’offerta, per difetto di sottoscrizione (…)”.

E’ riguardo a questa ipotesi che si  dovrebbe chiarire se il soccorso istruttorio integrativo “a  pagamento” possa o meno applicarsi.

Ora immaginare un soccorso nel caso in cui vi sia addirittura incertezza assoluta sulla provenienza dell’offerta è una prova  diabolica.

Da qualche parte del plico (all’interno) comunque  pervenuto alla stazione appaltante un riferimento all’appaltatore ci dovrà pur essere. Se il collegamento al soggetto che ha presentato la domanda e l’offerta è rinvenibile per il semplice fatto che l’offerta si trova all’interno di un plico sigillato (a prova di manipolazione) la connotazione dell’incertezza assoluta non esiste.

Pertanto, l’esclusione dovrebbe essere preclusa. Ma dovrebbe ritenersi non necessaria la stessa  possibilità di proporre un soccorso istruttorio integrativo a pagamento. Dovrebbe trattarsi, infatti, di una ipotesi in cui l’appaltatore può essere invitato o con un semplice soccorso specificativo o, meglio ancora, non essere chiamato neppure in modo da evitare che possa scegliere – conoscendo ormai l’epilogo della gara – di non sottoscrivere l’offerta.

Anche la questione della sottoscrizione dell’offerta, per superare l’inconciliabile dicotomia sanzione pecuniaria/possibilità dell’appaltatore di non pagare “manipolando” l’esito  della  gara, può essere risolta nella  predisposizione del bando di gara o nell’atto di invito facendo chiaramente un riferimento a quanto appena prospettato.

Nel caso in cui, la carenza di sottoscrizione non determini comunque incertezza assoluta sulla provenienza dell’offerta, l’offerta è sempre valida e l’appaltatore non deve neppure essere chiamato a regolarizzare.

Anche perché qualora cercasse di sconfessare l’offerta in quanto non redatta (e/o decisa)  personalmente magari con la riserva di avvantaggiare qualche altro appaltatore, sarebbe un  modus agendi  praticabile solo in una circostanza e non più ripetibile. In ogni  caso verrebbe chiamato a chiarire i vari particolari a pena di vedersi escussa la cauzione e subire le ulteriori sanzioni.

In questo caso, pertanto, non si porrebbe nessuna complicanza determinata dall’applicazione del soccorso a pagamento o di altra fattispecie di soccorso. L’offerta non viene respinta alla luce di quanto disposto dal comma 1-bis dell’articolo  46 ed il comma 2 –bis non potrebbe  neppure operare.

Nel caso estremo, come bene rileva anche l’ANAC ovvero il caso in cui la mancanza di sottoscrizione si verifichi in una situazione di incertezza circa la provenienza  l’esclusione appare irrimediabile e non può, evidentemente, essere ammessa nessuna sanatoria (tanto meno a pagamento).      

6. Il sub-procedimento

Del sub-procedimento, che compete al RUP, la norma declina una versione semplificata: appurata la violazione/irregolarità – sulla base delle indicazioni fornite all’appaltatore già in fase di bando – il responsabile unico del procedimento “propone” all’appaltatore, sospendendo la  procedura di gara, di integrare/correggere la propria documentazione previo pagamento di una sanzione pecuniaria (è opportuno seguire le indicazioni dell’ANAC) entro un termine di 10 giorni.

Termine, come si è evidenziato sopra, unanimemente – e da norma – ritenuto perentorio.

In tema si deve però registrare una recente ordinanza del Consiglio di Stato che sembra sostenere una tesi differente (anche se, francamente, non condivisibile).

Con la recente ordinanza cautelare n. 5627/2015, il Consiglio di Stato, sez. IV, si sofferma sulla natura giuridica del termine di 10 giorni che la stazione appaltante deve assegnare all’appaltatore che sia incorso in una irregolarità essenziale, sanabile, nella predisposizione della gara.

Nel caso di specie, in relazione ad un appalto bandito da Consip concernente l’affidamento dei servizi di pulizia sanificazione ed altri servizi presso enti del servizio sanitario nazionale, la commissione di gara richiedeva al RTI ricorrente la  regolarizzazione della cauzione provvisoria applicando la sanzione pecuniaria di cui al comma 2-bis dell’articolo 38.

La contestazione espressa nell’impugnazione innanzi al giudice  in prime cure (Tar Lazio, 11259/2015)   – tra gli altri – è che la commissione di  gara aveva ritenuto  la cauzione provvisoria  prestata non regolare in quanto rilasciata da intermediario finanziario non “iscritto nell’elenco speciale di cui all’art. art. 107 del T.U.B. (d. lgs. n. 385/1993), vecchio testo, bensì soltanto nell’elenco generale di cui all’art. 106 di tale Testo unico: e dunque in violazione (…) del Disciplinare di gara”.

 A tal riguardo, la commissione assegnava 10 giorni di tempo per la regolarizzazione  però – come si legge sempre nella sentenza di primo grado – il raggruppamento ricorrente non forniva  “la richiesta regolarizzazione” richiedendo però, “alla Stazione appaltante una proroga del termine assegnato a tale fine”.

La Consip procedeva con l’esclusione del raggruppamento per la mancata presentazione di una fideiussione rilasciata da soggetto abilitato nel termine dei 10 giorni, termine, inoltre,  che veniva considerato come perentorio e non suscettibili di alcuna proroga anche – presumibilmente – per l’incidenza sulla par condicio.

Il giudice di primo grado, considerava legittimo l’operato del soggetto aggregatore e respingeva il ricorso.

La decisione del collegio viene impugnata con richiesta di sospensiva dell’efficacia che viene concessa  con l’ordinanza in argomento considerato – annota il giudice di Palazzo Spada – che  “ad un sommario esame, l’appello appare assistito da apprezzabili elementi di fondatezza, tenuto conto che, in presenza di una obiettiva impossibilità o difficoltà di rispettare il termine di dieci giorni per procedere alla regolarizzazione documentale di cui all’art. 38, comma 2-bis del codice degli appalti, appare possibile concedere una proroga del termine”.

Il giudice pertanto, ritiene che il termine entro cui è azionabile il soccorso integrativo “proposto” dalla stazione appaltante sia suscettibile di proroga nel caso di oggettive condizioni che non consentano all’interessato di ossequiare la richiesta di regolarizzazione.

Non si può non rilevare che tale configurazione  si pone in palese contrasto con l’orientamento assolutamente dominante che invece qualifica il temine in parola – e ciò è anche ben leggibile dalla stessa norma –  come perentorio.

E ciò è quanto si desume  sia nella determinazione n. 1/2015 dell’ANAC sia nella stessa sentenza in Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 16/2014.

L’Adunanza Plenaria,  in sede di prima  interpretazione della norma sul soccorso integrativo, ha puntualizzato che la recente disposizione “offre, quale indice ermeneutico, l’argomento della chiara volontà del legislatore di evitare (…) esclusioni dalla procedura per mere carenze documentali” imponendo una  istruttoria   veloce  autorizzando “la sanzione espulsiva quale conseguenza della sola inosservanza, da parte dell’impresa concorrente, all’obbligo di integrazione documentale (entro il termine perentorio accordato, a tal fine, dalla stazione appaltante)”.

7. Il principio di invarianza della soglia di anomalia

La questione della c.d. invarianza della soglia di anomalia – di cui all’ultimo periodo del comma in commento – risulta oramai chiaramente esplicitata dalla recente pronuncia della CGA,sezione giurisdizionale della Sicilia del 22 dicembre 2015 n. 740   che, probabilmente per prima, – ed in modo persuasivo –  interviene per precisare quali siano i limiti invalicabili sulla possibilità – della stazione appaltante – di variare la soglia di anomalia nella gara d’appalto.

L’ultimo periodo del comma 2-bis, come annotato,  puntualizza che “ogni variazione che intervenga, anche in conseguenza di una pronuncia giurisdizionale, successivamente alla fase di ammissione, regolarizzazione o esclusione delle offerte non rileva ai fini del calcolo di medie nella procedura, né per l’individuazione della soglia di anomalia delle offerte”.

Bene rileva il giudice d’appello della regione Sicilia, anche sollecitato dal ricorrente,  che la norma pone un problema applicativo circa la chiara definizione del momento in cui lo stesso potere di autotutela della stazione appaltante risulta precluso dalla impossibilità (comunque) di variare la soglia di anomalia e quindi cambiare aggiudicatario dell’appalto.

Si tratta, in sostanza, di comprendere se il potere di autotutela dell’amministrazione   non possa più essere esercitato una volta espletato proprio il soccorso integrativo previsto dalla norma (e quindi collegando tale limite alla ratio della disposizione) o se tale momento debba essere invece identificato con la conclusione della prima fase di ammissione dei concorrenti, oppure all’aggiudicazione provvisoria o, addirittura, all’aggiudicazione definitiva.  

Nel senso che, verificatosi uno di questi due momenti, sia che intervenga un provvedimento giurisdizionale sia che intervenga un provvedimento in autotutela (le cui richieste dovrebbero, appunto, essere ritenute inammissibili per carenza di interesse, fatta salva la richiesta del risarcimento), la stazione appaltante non potrebbe  più modificare la soglia di anomalia aprendo – per l’aggiudicatario potenziale – solamente la possibilità di ottenere il risarcimento del danno.   

Nel caso di specie, il comportamento della stazione appaltante veniva censurato dal ricorrente già soccombente in primo grado perché, una volta esclusi una serie  di candidati (ben 5) per non aver allegato all’offerta economica il proprio documento di identità  la commissione, avvedutasi del macroscopico errore procedeva alla riammissione ricalibrando la soglia di anomalia e quindi, revocando l’aggiudicazione provvisoria al ricorrente.

Naturalmente, anche in secondo grado si è ribadito che non esiste alcun obbligodel concorrente di allegare all’offerta economica il proprio documento di identità e che l’eventuale clausola contenuta nella legge di gara che imponesse un simile modus operandi deve ritenersi assolutamente nulla e come non apposta perché in contrasto con il principio della tassatività delle cause di  esclusione.

In ogni caso, rileva il giudice, se anche l’amministrazione non avesse proceduto in questo modo sarebbe intervenuta a vantaggio dei concorrenti estromessi proprio la disposizione introdotta dal d.l. 90/2014 ovvero il soccorso integrativo che avrebbe consentito la regolarizzazione della carenza.

La doglianza di rilievo, ai nostri fini, riguarda il successivo comportamento della stazione appaltante   che, riammessi i concorrenti ha poi disposto la revisione della soglia di anomalia in violazione – secondo il ricorrente – del principio dell’invarianza determinato dall’ultimo periodo del comma 2-bis secondo cui nessun provvedimento (né  giurisdizionale né adottato in autotutela  successivamente alle fasi di ammissione, regolarizzazione o dell’esclusione delle offerte) potrebbe legittimare la “revisione” della graduatoria.

L’attento estensore della pronuncia rammenta che intorno all’inciso finale del comma in commento si sono sviluppati tre differenti orientamenti interpretativi che hanno cercato di chiarire non solo la ratio della norma ma il limite stesso (la fase) oltre il quale (la quale) il potere di rideterminare la soglia dell’anomalia risulta totalmente precluso ed il soggetto – danneggiato – può richiedere semplicemente il risarcimento del danno e non più la possibilità di ottenere l’appalto.

Secondo un primo orientamento – letterale –  l’amministrazione non potrebbe rivedere i propri atti una volta che abbia adottato disposizioni di ammissione, regolarizzazione ed esclusione (si tratta poi, evidentemente, di comprende a quale fase tali operazioni sono collegabili).

Questo per evitare che possa (la stazione appaltante) strumentalizzare i propri poteri di autotutela e, lo stesso potenziale aggiudicatario – che reputi di essere stato danneggiato –, non potrebbe neppure avere diritto al risarcimento in quanto il legislatore avrebbe introdotto con la norma in commento un vero e proprio principio di irrilevanza delle sopravvenienze.      

Un secondo orientamento collega il periodo in commento al complesso della norma ammettendo il  potere di variare la soglia di anomalia solo fino a quando la  stazione appaltante non abbia esercitato il potere del soccorso istruttorio integrativo previsto nello stesso comma.

In questo senso,  in sentenza si legge che “per una seconda opinione, invece, la norma andrebbe interpretata in modo restrittivo dovendo prevalere sempre la possibilità per l’amministrazione di agire in autotutela. Per questa tesi il divieto di rivedere medie e soglie opererebbe solo dopo che l’amministrazione, avendo fatto uso del potere di soccorso istruttorio (come è noto ampliato proprio dal d.l. 90/2014), ha definitivamente deciso di ammettere o escludere un operatore. In altri termini, il principio generale di cura permanente degli interessi pubblici (sotteso al potere di agire in autotutela) giustificherebbe l’interpretazione restrittiva della norma relegandola solo all’ipotesi in cui l’ammissione o l’esclusione siano stati disposti a seguito dell’esercizio del soccorso istruttorio, così collegandosi la prima parte dell’articolo 38, comma 2 bis cod. contratti con la seconda parte”.

Il terzo orientamento tende a conciliare la volontà del legislatore di evitare lungaggini sull’assegnazione dell’appalto ma conciliando tale previsione con i principi costituzionali che impongono l’intangibilità del diritto di difesa (pur rimanendo aperta la necessità di individuare la fase del procedimento amministrativo contrattuale oltre la quale la soglia di anomalia non può essere rivista). 

Il giudice adito ben rileva la novità della norma introdotta nell’ordinamento giuridico in quanto la variazione della soglia di anomalia è sempre stata consentita proprio per ammettere una tutela effettiva del soggetto oggettivamente danneggiato.

Questo sacrificio – compensato dalla possibilità di ottenere il risarcimento del danno – risulterebbe giustificato dalla prioritaria esigenza di giungere in tempi rapidi ad una stipulazione del contratto evitando, inoltre, anche contenziosi strumentali.

 In questo senso si legge in sentenza che a “giudizio del Collegio, sotto un primo aspetto, la disposizione in questione – certamente incentrata sulla congiunzione “anche” nonché sulla locuzione “nella procedura” – va interpretata nel senso di non permettere qualsiasi successiva variazione della media e della soglia di anomalia o per effetto di una pronuncia giurisdizionale o in ragione di provvedimenti adottati dall’amministrazione in sede di autotutela. Tale conclusione risulta essere certamente una novità nel panorama legislativo e nell’ambito del diritto vivente che, sino a prima della disposizione in questione, aveva sempre assicurato una tutela effettiva giungendo sino al ricalcolo della media e della soglia di anomalia. I pur legittimi dubbi avanzati da parte di alcuni sulla razionalità della norma, tuttavia, si scontrano con la constatazione che tale interpretazione risponde alla finalità perseguita dal legislatore di giungere alla rapida stipulazione ed esecuzione del contratto”.

Inoltre, come detto, “per evitare qualunque dubbio di legittimità costituzionale, va precisato che per l’interessato – ostacolato dalla norma nell’acquisire il bene della vita cui aspirava (ossia l’aggiudicazione, la stipulazione e l’esecuzione) – resta impregiudicata la possibilità del rimedio risarcitorio per equivalente nonché le connesse responsabilità dell’amministrazione e dei funzionari per il loro operato”.

Formulate tali premesse, giustamente si tratta di chiarire quale sia il momento del procedimento di gara oltre il quale anche la sopravvenienza di un provvedimento giurisdizionale e/o in autotutela non è più in grado di consentire la variazione della soglia di anomalia (e quindi di modificare le sorti dell’appalto rendendo privi di interesse possibili doglianze e, pertanto, da respingere).

Secondo il giudice, tale momento non può coincidere né con la prima fase di ammissione dei concorrenti (perché troppo limitativa per la stazione appaltante), né con la fase successiva dell’aggiudicazione provvisoria (proprio per il suo carattere interinale e “provvisorio” che ammette la possibilità della stazione appaltante di rivedere le proprie valutazione e l’intero procedimento).

Il momento in parola, oltre il quale non  è più possibile procedere con la variazione della soglia di anomalia,  è l’aggiudicazione definitiva ovvero quella fase in cui la stazione appaltante ha effettuato ogni possibile verifica giungendo alla conclusione della procedura amministrativa della gara. 


[1] Non si ritenga superfluo rammentare che, con il decreto legislativo 163/2016, articolo 81 comma 3, l’assegnazione dell’appalto costituisce una “mera” eventualità potendo, l’amministrazione anche valutare di non aggiudicare l’appalto. 

[2] Come evidenziato il  secondo periodo del comma 2-bis dell’articolo 38 del codice, rilevata la irregolarità su elementi/dichiarazioni essenziali, “la stazione appaltante assegna al concorrente un termine, non superiore a dieci giorni, perché siano rese, integrate o regolarizzate le dichiarazioni necessarie, indicandone il contenuto e i soggetti che le devono rendere”.

Sending
Questo articolo è valutato
0 (0 votes)

Questo articolo è stato scritto da...

Dott. Stefano Usai
Vice segretario del Comune di Terralba (Or)
mediagraphic assistenza tecnico legale e soluzioni per l'innovazione p.a.