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( votes)Premessa.
Il presente contributo si occupa dei profili normativi e giurisprudenziali che hanno caratterizzato l’istituzione prima e l’evoluzione poi del “whistleblowing”. Si esamina il processo che ha portato, nel panorama contemporaneo, alla definizione del whistleblower quale figura emblematica di un nuovo paradigma etico, in cui il silenzio non è più sinonimo di lealtà, ma di complicità. Il whistleblower è colui che, rompendo l’omertà organizzativa, segnala comportamenti illeciti, frodi, corruzione, abusi o violazioni di norme. In contesti dove il conformismo e la paura dominano, la sua figura è quella del “disobbediente etico”, che agisce non per interesse personale, ma per un bene superiore: la legalità.
L’importanza crescente del whistleblowing ha trovato oggi pieno ed espresso riscontro anche a livello normativo. Con la Direttiva (UE) 2019/1937 e il recepimento in Italia tramite il D.lgs. n. 24/2023, si rafforza, infatti, la protezione del segnalante, garantendogli anonimato, tutela contro le ritorsioni e canali di segnalazione sicuri. La normativa impone agli enti pubblici e privati di predisporre procedure trasparenti, coinvolgendo anche gli Organismi di Vigilanza. Si tratta di una svolta lenta ma fondamentale, che istituzionalizza una volta e per tutte la figura del whistleblower come presidio di democrazia organizzativa e integrità.
BOX: L’importanza crescente del whistleblowing ha trovato oggi pieno ed espresso riscontro anche a livello normativo con la Direttiva (UE) 2019/1937 e il recepimento in Italia tramite il D.lgs. n. 24/2023 che istituzionalizza la figura del whistleblower come presidio di democrazia organizzativa e integrità.
1. La introduzione dell’istituto del Whisteblowing dalla legge 6 novembre 2012, n. 190 alla legge 30 novembre 2017 n. 179.
In Italia, l’istituto giuridico del Whistleblowing è stato introdotto dalla legge 6 novembre 2012, n. 190 «Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione», adottata sulla scorta della spinta eurounitaria ed in ottemperanza agli obblighi convenzionali. In particolare, l’art. 1, co. 51, della richiamata legge ha introdotto l’art. 54-bis all’interno del d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165 «Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche». Tale norma prevedeva un regime di tutela del dipendente pubblico che avrebbe segnalato condotte illecite di cui sia venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro. Il Legislatore del 2012, pertanto, su pressante sollecitazione delle indicazioni eurounitarie, ha tentato di dare una risposta, seppur ancora embrionale, alle esigenze di tutela e protezione del soggetto che segnalava condotte ed elementi non rispondenti ai modelli di legalità.
La disciplina è stata integrata dal decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito nella legge 11 agosto 2014, n. 114, «Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari», che ha modificato l’art. 54-bis introducendo anche l’ANAC quale soggetto destinatario delle segnalazioni di whistleblowing.
L’ANAC è intervenuta con la Determinazione n. 6 del 28 aprile 2015 recante «Linee guida in materia di tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti (c.d. whistleblowing)» per fornire indicazioni alle pubbliche amministrazioni sui necessari accorgimenti tecnici da adottare per dare effettiva attuazione alla disciplina. Con tale importante documento, l’Autorità ha evidenziato gli ambiti in cui riteneva più urgente un nuovo interventonormativo ed in particolare l’ampliamento dell’istituto de quo: a) al dipendente che segnala condotte illecite negli enti didiritto privato in controllo pubblico e negli enti pubblici economici; b) ai consulenti e ai collaboratoria qualsiasi titolo e ai collaboratori di imprese fornitrici della P.A.
Infine, la legge 30 novembre 2017 n. 179, «Disposizioni per la tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell’ambito di un rapporto di lavoro pubblico o privato», entrata in vigore il 29 dicembre 2017 ha riscritto integralmente l’art. 54-bis d.lgs. 165/2001, prevedendo che:
“1. Il pubblico dipendente che, nell’interesse dell’integrita’ della pubblica amministrazione, segnala al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza di cui all’articolo 1, comma 7, della legge 6 novembre 2012, n. 190, ovvero all’Autorita’ nazionale anticorruzione (ANAC), o denuncia all’autorita’ giudiziaria ordinaria o a quella contabile, condotte illecite di cui e’ venuto a conoscenza in ragione del proprio rapporto di lavoro non puo’ essere sanzionato, demansionato, licenziato, trasferito, o sottoposto ad altra misura organizzativa avente effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro determinata dalla segnalazione. L’adozione di misure ritenute ritorsive, di cui al primo periodo, nei confronti del segnalante e’ comunicata in ogni caso all’ANAC dall’interessato o dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative nell’amministrazione nella quale le stesse sono state poste in essere. L’ANAC informa il Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri o gli altri organismi di garanzia o di disciplina per le attivita’ e gli eventuali provvedimenti di competenza.
2. Ai fini del presente articolo, per dipendente pubblico si intende il dipendente delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, ivi compreso il dipendente di cui all’articolo 3, il dipendente di un ente pubblico economico ovvero il dipendente di un ente di diritto privato sottoposto a controllo pubblico ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile. La disciplina di cui al presente articolo si applica anche ai lavoratori e ai collaboratori delle imprese fornitrici di beni o servizi e che realizzano opere in favore dell’amministrazione pubblica.
3. L’identita’ del segnalante non puo’ essere rivelata. Nell’ambito del procedimento penale, l’identita’ del segnalante e’ coperta dal segreto nei modi e nei limiti previsti dall’articolo 329 del codice di procedura penale. Nell’ambito del procedimento dinanzi alla Corte dei conti, l’identita’ del segnalante non puo’ essere rivelata fino alla chiusura della fase istruttoria. Nell’ambito del procedimento disciplinare l’identita’ del segnalante non puo’ essere rivelata, ove la contestazione dell’addebito disciplinare sia fondata su accertamenti distinti e ulteriori rispetto alla segnalazione, anche se conseguenti alla stessa. Qualora la contestazione sia fondata, in tutto o in parte, sulla segnalazione e la conoscenza dell’identita’ del segnalante sia indispensabile per la difesa dell’incolpato, la segnalazione sara’ utilizzabile ai fini del procedimento disciplinare solo in presenza di consenso del segnalante alla rivelazione della sua identita’.
4. La segnalazione e’ sottratta all’accesso previsto dagli articoli 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni.
5. L’ANAC, sentito il Garante per la protezione dei dati personali, adotta apposite linee guida relative alle procedure per la presentazione e la gestione delle segnalazioni. Le linee guida prevedono l’utilizzo di modalita’ anche informatiche e promuovono il ricorso a strumenti di crittografia per garantire la riservatezza dell’identita’ del segnalante e per il contenuto delle segnalazioni e della relativa documentazione.
6. Qualora venga accertata, nell’ambito dell’istruttoria condotta dall’ANAC, l’adozione di misure discriminatorie da parte di una delle amministrazioni pubbliche o di uno degli enti di cui al comma 2, fermi restando gli altri profili di responsabilita’, l’ANAC applica al responsabile che ha adottato tale misura una sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 a 30.000 euro. Qualora venga accertata l’assenza di procedure per l’inoltro e la gestione delle segnalazioni ovvero l’adozione di procedure non conformi a quelle di cui al comma 5, l’ANAC applica al responsabile la sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000 a 50.000 euro. Qualora venga accertato il mancato svolgimento da parte del responsabile di attivita’ di verifica e analisi delle segnalazioni ricevute, si applica al responsabile la sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000 a 50.000 euro. L’ANAC determina l’entita’ della sanzione tenuto conto delle dimensioni dell’amministrazione o dell’ente cui si riferisce la segnalazione.
7. E’ a carico dell’amministrazione pubblica o dell’ente di cui al comma 2 dimostrare che le misure discriminatorie o ritorsive, adottate nei confronti del segnalante, sono motivate da ragioni estranee alla segnalazione stessa. Gli atti discriminatori o ritorsivi adottati dall’amministrazione o dall’ente sono nulli.
8. Il segnalante che sia licenziato a motivo della segnalazione e’ reintegrato nel posto di lavoro ai sensi dell’articolo 2 del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23.
9. Le tutele di cui al presente articolo non sono garantite nei casi in cui sia accertata, anche con sentenza di primo grado, la responsabilita’ penale del segnalante per i reati di calunnia o diffamazione o comunque per reati commessi con la denuncia di cui al comma 1 ovvero la sua responsabilita’ civile, per lo stesso titolo, nei casi di dolo o colpa grave.”
Le novità di maggior rilievo introdotte dalla novella del 2017 riguardavano l’ampliamento dell’ambito soggettivo di applicazione; la valorizzazione del ruolo del Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza (RPCT) nella gestione delle segnalazioni; il sistema generale di tutela e protezione del segnalante, che comprende la garanzia di riservatezza sull’identità, la protezione da eventuali misure ritorsive adottate dalle amministrazioni o enti a causa della segnalazione, nonché la qualificazione della segnalazione effettuata dal whistleblower come “giusta causa” di rivelazione di un segreto d’ufficio, aziendale, professionale, scientifico o industriale o di violazione del dovere di lealtà e fedeltà.
L’ANAC, nell’esercizio del proprio potere regolatorio era, tra l’altro, direttamente investita dalla novella leglislativa del compito di adottare apposite Linee guida relative alle procedure per la presentazione e la gestione delle segnalazioni, sentito il Garante per la protezione dei dati personali. A tal proposito, con delibera ANAC 9 giugno 2021, n. 469 sono state approvate le Linee guida, sulle quali si è espresso anche il Consiglio di Stato con parere n. 615 del 4 marzo2020, reso ai sensi dell’art. 15, l. 21 luglio 2000 n. 205, che superavano le precedenti adottate con Determinazione n. 6 del 28 aprile 2015 (e i relativi allegati). Sono strumenti che rispondono al fondamentale obiettivo di fornire indicazioni sull’applicazione della normativa e sono rivolte alle pubbliche amministrazioni e agli altri enti indicati dalla legge tenuti a prevedere misure di tutela per il dipendente che segnala condotte illecite che attengono all’amministrazione di appartenenza. Esse contengono, inoltre indicazioni utili anche per i possibili “segnalanti” oltre che volte a consentire alle amministrazioni e agli altri soggetti destinatari delle stesse di adempiere correttamente agli obblighi derivanti dalla disciplina di protezione dei dati personali.
BOX: In Italia, l’istituto giuridico del Whistleblowing è stato introdotto dalla legge 6 novembre 2012, n. 190 che ha introdotto l’art. 54-bis all’interno del d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165 poi integrata dal decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90. Sul tema, l’ANAC è intervenuta con la Determinazione n. 6 del 28 aprile 2015 recante «Linee guida in materia di tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti (c.d. whistleblowing)» per fornire indicazioni alle pubbliche amministrazioni sui necessari accorgimenti –anche tecnici– da adottare per dare effettiva attuazione alla disciplina. Infine, la disciplina è stata integralmente riformata dalla la legge 30 novembre 2017 n. 179.
2. Whisteblowing – Caratteristiche delle segnalazioni tutelabili e il caso del dipendente segnalante che svolge funzioni di rappresentanza delle sigle sindacali.
Ricostruita la previgente cornice normativa regolante l’istituto del Whistleblowinng, anche al fine analizzare gli effetti concreti che hanno caratterizzato l’applicazione di tale modello di legalità, si richiama a tal proposito la “quaestio iuris” esaminata dalla I Sez. Quater del TAR per il Lazio Roma con la pronuncia n. 13706 del 8.7.2024 avente ad oggetto il leading case di irrogazione delle sanzioni da parte dell’ANAC ai sensi dell’art. 54-bis del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, per la natura ritorsiva dei procedimenti disciplinari avvianti nei confronti del soggetto segnalante.
Il TAR adito, in primo luogo, ricostruisce il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento evidenziando che “la normativa (applicata da ANAC e) applicabil ratione temporis alla vicenda oggetto del giudizio è quella di cui all’art. 54-bis, d.lgs. n. 165/2001, il quale prevede(va) che «il pubblico dipendente che, nell’interesse dell’integrità della pubblica amministrazione, segnala al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza … o denuncia all’Autorità giudiziaria ordinaria o a quella contabile condotte illecite di cui è venuto a conoscenza in ragione del proprio rapporto di lavoro non può essere sanzionato, demansionato, licenziato, trasferito, o sottoposto ad altra misura organizzativa avente effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro determinata dalla segnalazione» (comma 1); che «qualora venga accertata, nell’ambito dell’istruttoria condotta dall’ANAC, l’adozione di misure discriminatorie … fermi restando gli altri profili di responsabilità, l’ANAC applica al responsabile che ha adottato tale misura una sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 a 30.000 euro» (comma 6); che «è a carico dell’amministrazione pubblica o dell’ente … dimostrare che le misure discriminatorie o ritorsive, adottate nei confronti del segnalante, sono motivate da ragioni estranee alla segnalazione stessa» (comma 7, primo periodo) e che «gli atti discriminatori o ritorsivi adottati dall’amministrazione o dall’ente sono nulli» (comma 7, secondo periodo).”
Richiama ancora le Linee Guida approvate da ANAC con delibera 9 giugno 2021, n. 469 che hanno precisato:
– che “ai fini dell’applicazione della disciplina a tutela dei whistleblower sono considerate solamente le segnalazioni di condotte illecite effettuate dai soggetti previsti dall’art. 54-bis, commi 1 e 2, d.lgs. n. 165/2001 (tra cui rientrano tutti «i dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2 del d.lgs. n. 165 del 2001») specificando che «le segnalazioni effettuate da altri soggetti, ivi inclusi i rappresentanti di organizzazioni sindacali, non rilevano comma 1 dell’art. 54-bis» (cfr. Linee Guida, pag. 5);
– che «i fatti illeciti oggetto delle segnalazioni whistleblowing comprendono non solo le fattispecie riconducibili all’elemento oggettivo dell’intera gamma dei delitti contro la pubblica amministrazione ma tutte le situazioni in cui, nel corso dell’attività amministrativa, si riscontrino comportamenti impropri di un funzionario pubblico che, anche al fine di curare un interesse proprio o di terzi, assuma o concorra all’adozione di una decisione che devia dalla cura imparziale dell’interesse pubblico» e che rientrano tra le segnalazioni tutelabili quelle relative a fatti da cui sia desumibile «un’alterazione del corretto ed imparziale svolgimento di un’attività o di un servizio pubblico o per il pubblico, anche sotto il profilo della credibilità e dell’immagine dell’amministrazione» (cfr. Linee Guida, pag. 13);
– che «non sono meritevoli di tutela le segnalazioni…contenenti informazioni che il segnalante sa essere false» (cfr. Linee Guida, pag. 15);
– che «considerato lo spirito della norma – che è quello di incentivare la collaborazione di chi lavora all’interno delle pubbliche amministrazioni al fine di far emergere possibili fenomeni corruttivi non è necessario che il dipendente sia certo dell’effettivo accadimento dei fatti denunciati e/o dell’identità dell’autore degli stessi ma solo che ne sia ragionevolmente convinto» e che «la tutela ex art. 54-bis non si applica, invece, alle … notizie prive di fondamento e alle c.d. “voci di corridoio”» (cfr. Linee Guida, pag. 18);
– che il legislatore ha optato «per un’inversione dell’onere probatorio stabilendo al comma 7 dell’art. 54-bis, che laddove il segnalante dimostri di avere effettuato una segnalazione di illeciti di cui all’art 54-bis e di aver subito, a causa della segnalazione, una misura ritorsiva o discriminatoria, l’onere della prova grava sulla persona che ha posto in essere tale misura», sicché è quest’ultima a essere tenuta a dimostrare che «l’azione intrapresa non è in alcun modo connessa alla segnalazione» (cfr. Linee Guida, pag. 22);
Rileva che con apposito parere reso sulle Linee Guida ANAC, il Consiglio di Stato ha ritenuto condivisibile quanto affermato nelle stesse in ordine al fatto che le segnalazioni oggetto di tutela possano riguardare «non solo le fattispecie riconducibili all’elemento oggettivo dell’intera gamma dei delitti contro la pubblica amministrazione ma tutte le situazioni in cui, nel corso dell’attività amministrativa, si riscontrino comportamenti impropri di un funzionario pubblico che, anche al fine di curare un interesse proprio o di terzi, assuma o concorra all’adozione di una decisione che devia dalla cura imparziale dell’interesse pubblico ma ciò «solo a condizione che si possa configurare un illecito» (Consiglio di Stato, I, 24 marzo 2020, n. 615). Riconosce, pertanto che “nell’ottica della massima protezione del lavoratore – che la disciplina di cui all’art. 54-bis, commi 6 e 7, d.lgs. n. 165/2001 si applichi anche ad ipotesi di segnalazioni atipiche/ibride (per le modalità di presentazione o perché volte a perseguire contestualmente sia l’interesse pubblico all’integrità dell’amministrazione, sia un interesse privato del lavoratore), purché sia evidente che tali denunce/segnalazioni siano comunque orientate a promuovere «l’integrità della pubblica amministrazione», e possa escludersi (avuto riguardo al loro concreto contenuto e a tutte le circostanze del caso) che le stesse siano meramente strumentali al raggiungimento di finalità estranee alla ratio dell’art. 54-bis, d.lgs. n. 165/2001 (cfr. Tar Lazio, I-quater, 7 gennaio 2023, n. 235).”
Tanto ricostruito, il TAR Lazio ha sostenuto l’applicabilità dell’art. 54-bis, d.lgs. n. 165/2001, anche quand’anche il segnalante ha agito come rappresentante sindacale e per mezzo del sindacato, evidenziando all’uopo che “la circostanza che un pubblico dipendente rientrante nelle categorie previste dall’art. 54-bis, comma 2, d.lgs. n. 165/2001 svolga anche attività sindacale o si faccia assistere dal proprio sindacato di appartenenza nella trasmissione delle proprie denunce/segnalazioni agli organi competenti (..) non sia ostativa all’applicazione del regime di tutela previsto dai commi 6 e 7 della citata disposizione. Sarebbe irrazionale – e contrario alla ratio della normativa in materia di whisteblowing – escludere radicalmente un lavoratore che segnala «condotte illecite di cui è venuto a conoscenza in ragione del proprio rapporto di lavoro» dalle tutele previste dall’art. 54-bis, d.lgs. n. 165/2001 sol perché lo stesso svolge attività sindacale o si è fatto assistere dal sindacato. In quest’ottica, la previsione delle Linee Guida del 2021 secondo cui «le segnalazioni effettuate da altri soggetti, ivi inclusi i rappresentanti di organizzazioni sindacali, non rilevano comma 1 dell’art. 54-bis» – per non condurre ad esiti irragionevoli, ovvero non ridurre in maniera illogica l’ambito di tutela della normativa primaria – appare doversi interpretare nel senso che non sono protetti dalla specifica normativa in materia di whistleblowing i rappresentanti sindacali che trasmettono segnalazioni provenienti di altri lavoratori, ovvero che svolgono un ruolo di mediazione tra il lavoratore (che ha conosciuto gli illeciti in ragione del proprio rapporto di lavoro) e le autorità (ANAC, Autorità giudiziaria ordinaria e contabile) che ricevono la segnalazione di illecito.”
In sintesi ed in altri termini, la giurisprudenza amministrativa richiamata esprime i seguenti principi a) che per beneficiare della tutela prevista per i whistleblower non è necessario che le denunce/segnalazioni si rivelino fondate, ma è sufficiente che le persone segnalanti abbiano ragionevoli motivi per ritenere alla luce delle circostanze e delle informazioni di cui dispongono al momento della segnalazione, che i fatti che segnalano sono veri con conseguente esclusione dal regime di tutela solo per coloro che al momento della segnalazione, hanno fornito deliberatamente e scientemente informazioni errate o fuorvianti; b) che il regime di tutela di cui agli artt. 54-bis, commi 6 e 7, d.lgs. n. 165/2001 si applica anche nei casi in cui il segnalante sia anche rappresentante sindacale o trasmetta le sue denunce per il tramite del sindacato, salva l’ipotesi in cui – per l’inconsistenza delle accuse e per le concrete modalità di utilizzo della segnalazione – possa ragionevolmente affermarsi che la segnalazione non sia in alcun modo orientata a promuovere anche «l’integrità della pubblica amministrazione» ma sia finalizzata solo a generare pressioni sul datore di lavoro al fine di perseguire interessi sindacali, ovvero abbia un carattere del tutto strumentale e non in linea con le finalità dell’art. 54-bis. Allo stesso modo, l’orientamento pretorio citato, predicando cautela e la necessità di valutare le effettive caratteristiche delle fattispecie che volta per volta vengono all’esame, non ignora tuttavia che tanto la circostanza che il segnalante svolga anche attività sindacale quanto il fatto che le segnalazioni siano stata inoltrate dallo stesso con l’ausilio del sindacato medesimo possano tuttavia comportare il rischio che lo strumento della denuncia/segnalazione venga del tutto impropriamente utilizzato in maniera meramente strumentale all’attività sindacale.
BOX: La circostanza che un pubblico dipendente rientrante nelle categorie previste dall’art. 54-bis, comma 2, d.lgs. n. 165/2001 svolga anche attività sindacale o si faccia assistere dal proprio sindacato di appartenenza nella trasmissione delle proprie denunce/segnalazioni agli organi competenti non è ostativa all’applicazione del regime di tutela previsto dai commi 6 e 7 della citata disposizione. Sarebbe irrazionale – e contrario alla ratio della normativa in materia di whisteblowing escludere radicalmente un lavoratore che segnala «condotte illecite di cui è venuto a conoscenza in ragione del proprio rapporto di lavoro» dalle tutele previste dall’art. 54-bis, d.lgs. n. 165/2001 sol perché lo stesso svolge attività sindacale o si è fatto assistere dal sindacato.
3. Il D.Lgs 24/2023 e il recepimento della Direttiva (UE) 2019/1937 – Conclusioni.
Come già accennato nelle premesse, la nuova disciplina dedicata al whistleblower trova, oggi, la sua più compiuta definizione nel Decreto Legislativo n. 24/2023 adottato in attuazione agli obiettivi fissati dalla Direttiva UE 2019/1937 anche a seguito della procedura di infrazione sul tema attivata in data 15 febbraio 2023 dalla Commissione Europea. La normativa richiamata tenta di inaugurare una nuova stagione nella lotta all’illegalità introducendo nuovi e più penetranti obblighi di natura organizzativa, gestionale, operativa, di tutela e sanzionatori a carico sia di soggetti del settore pubblico, tra cui rientrano le società controllate dalla Pubblica Amministrazione e quelle in house, sia delle società private dotate, e in alcuni casi specifici anche non dotatem di Modello ex d.lgs. n. 231/2001.
Il Legislatore italiano tenta di porre un effettivo rimedio alle criticità indicate in sede unionale ed in particolar modo alla circostanza che “chi lavora per un’organizzazione pubblica o privata o è in contatto con essa nello svolgimento della propria attività professionale è spesso la prima persona a venire a conoscenza di minacce o pregiudizi al pubblico inte resse sorti in tale ambito. Nel segnalare violazioni del diritto unionale che ledono il pubblico interesse, tali persone (gli «informatori – whistleblowers») svolgono un ruolo decisivo nella denuncia e nella prevenzione di tali violazioni e nella salvaguardia del benessere della società. Tuttavia, i potenziali informatori sono spesso poco inclini a segnalare inquietudini e sospetti nel timore di ritorsioni…”(cfr. i considerando della Direttiva UE 2019/1937)
La protezione degli informatori è divenuta necessaria in particolare nel settore degli appalti pubblici sempre più caratterizzato da episodi di frode e corruzione. Con la direttiva UE richiamata è stato affermato che l’introduzione di una tale disciplina risponde all’esigenza “non solo di prevenire e accertare le frodi e la corruzione connesse agli appalti pubblici nell’ambito dell’esecuzione del bilancio dell’Unione, ma anche affrontare il rispetto inadeguato delle norme relative agli appalti pubblici da parte delle amministrazioni aggiudicatrici nazionali e degli enti aggiudicatori riguardo all’esecuzione di opere, alla fornitura di prodotti o di servizi. Le violazioni di tali norme hanno per effetto di creare distorsioni della concorrenza, aumentare i costi operativi per le imprese, danneggiare gli interessi degli investitori e degli azionisti e, in generale, diminuire l’attrattiva degli investimenti creando disparità di condizioni per le imprese nell’Unione e compromettendo così il corretto funzionamento del mercato interno”.
Si arriva dunque oggi ad una nuova fase caratterizzata in modo emblematico dalla circostanza che la condotta del segnalante non è più considerata e considerabile come una causa di punibilità, soprattuto qundo la violazione di informazioni protette o la divulgazione di informazioni altrui a rilevanza reputazionale è necessaria ai fini della segnalazione stessa. Si può concludere che “lo Stato ha bisogno del segnalatore per diagnosticare l’anomalia che lo colpisce dall’interno e per perseguire gli obiettivi di interesse generale che stanno alla base del suo regolare funzionamento ma anche che il segnalatore ha bisogno dello Stato per prevenire o curare le conseguenze negative della propria scelta di segnalazione, che possono arrivare ad incidere sulla carriera, sulla reputazione, sugli affetti e sulle finanze del medesimo. In altri termini, la disciplina interna di matrice eurounitaria in materia di whistleblowing si risolve in una legge per il mutuo sostegno — quasi un patto di reciproca lealtà — tra lo Stato e il dipendente pubblico (o, comunque, il soggetto segnalatore generalmente inteso) nella quale, in nome dell’interesse generale e pure accettando di comprimere principi affermati come la trasparenza e la responsabilità personale, l’ordinamento assicura costante protezione all’esercizio del diritto-dovere di segnalazione delle condotte illecite intestato al whistleblower..” (cfr. Fonte: Rivista Trimestrale di Diritto Pubblico, fasc.2, 1° GIUGNO 2024, pag. 409 Autori: Patrizio Rubechini).
In conclusione, è dunque evidente che il passaggio dalla cultura del profitto immediato a quella della responsabilità sociale è il fulcro della trasformazione etica che oggi le organizzazionizzazioni pubbliche e private devono affrontare e di cui il Legisltatore si sta facendo attento (e sornione) ascoltatore. La cultura utilitaristica, che giustifica i mezzi in funzione del risultato, che è stata una delle principali concause del degrado morale di molte istituzioni, sembra (e ci si augura che sia così) lasciar posto e spazio ad una cultura fondata sull’integrità, sulla sostenibilità e sul rispetto delle regole, nella consapevolezza che solo comportamenti responsabili generano fiducia, sviluppo duraturo e crescita.
BOX: La nuova disciplina dedicata al whistleblower trova, oggi, la sua più compiuta definizione nel Decreto Legislativo n. 24/2023 adottato in attuazione agli obiettivi fissati dalla Direttiva UE 2019/1937. È normativa richiamata che tenta di inaugurare una nuova stagione nella lotta all’illegalità introducendo nuovi e più penetranti obblighi di natura organizzativa, gestionale, operativa, di tutela e sanzionatori a carico sia di soggetti del settore pubblico, tra cui rientrano le società controllate dalla Pubblica Amministrazione e quelle in house, sia delle società private.
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