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1. Riserva quale strumento di tutela e trasparenza

Nella esecuzione dei lavori pubblici e privati possono, come in tutti i rapporti a carattere oneroso, nascere delle contestazioni che per lo più hanno valenza economica.

Nell’appalto privato il contenzioso che insorge tra le parti si risolve, senza particolari formalità, secondo le previsioni normative o contrattuali, transattivamente o mediante il ricorso all’Autorità giudiziaria (ove non previsto il Collegio arbitrale).

Differentemente nell’appalto di opere pubbliche, a prescindere dalle modalità risolutive, le contestazioni tra l’Appaltatore e l’Amministrazione, debbono essere rivendicate e formalizzate secondo modalità e tempistiche ben delineate, pena la decadenza delle stesse.

Tale maggior rigore scaturisce da ovvie e comprensibili esigenze di buon governo del potenziale contenzioso, esigenze ben rappresentate  sin dalle origini della regolamentazione dei lavori pubblici.

L’assetto normativo è volto a preservare l’equilibrio economico del contratto sia per ciò che riguarda le eccezioni (cd. riserve) dell’appaltatore ma anche per quanto riguarda le esigenze della stazione appaltante che in questo modo, (1) può tenere sotto costante controllo l’andamento della spesa pubblica relativamente  alla realizzazione dell’opera, (2) può avviare immediatamente gli accertamenti sulla fondatezza delle richieste avanzate dall’appaltatore e (3) può quindi assumere tempestivamente gli adempimenti del caso ivi compresa la risoluzione contrattuale.

In tale contesto la riserva quindi rappresenta l’unico strumento che l’Appaltatore può utilizzare per far valere le proprie ragioni, svolgendo al contempo un’utile funzione di controllo della spesa oltre che di equilibrio economico-contrattuale.

Posta questa necessaria premessa è consequenziale ritenere improprio l’attuale atteggiamento volto a demonizzare un istituto, quello della riserva, che a ben vedere rappresenta la massima forma di trasparenza operativa nel giusto contraddittorio esecutore-committente.

Se infatti detto contraddittorio deve impedire di pervenire a soluzioni arbitrarie in contrasto con le obbligazioni contrattuali è di tutta evidenza come lo strumento della riserva costituisca l’elemento cardine attraverso il quale affrontare con massima trasparenza e poi risolvere le situazioni di contrasto incidenti sul rapporto sinallagmatico.

L’approccio seguito da molte Direzione dei Lavori di concerto con le imprese di voler “contrattare”  problematiche contrattuali con nuovi prezzi e disapplicazioni di eventuali penali non può ovviamente essere condivisa.

L’opera privata ed ancor più quella pubblica realizzata con fondi pubblici deve richiedere il massimo rigore operativo ed ogni concessione a favore o contro l’esecutore deve pervenire a valle di un processo aderente al dettame normativo e opportunamente codificato: lo strumento della riserva (in tale accezione deve essere letta anche l’istanza di disapplicazione della penale) rappresenta quindi il fulcro di tale contraddittorio.

Chi vede nella riserva una patologia dell’appalto, nel migliore dei casi, sottovaluta e trascura le patologie insite in una procedura che apparentemente priva di contestazioni risulta, nei fatti, una sorta di compensazione tra le distinte posizioni….

2. Genesi e corretta apposizione delle riserve

Le vicende spesso complesse dell’esecuzione dei lavori possono determinare l’insorgere di controversie tra appaltatore e amministrazione.

Queste possono avere il contenuto più vario.

Possono riguardare l’esattezza delle registrazioni contabili e cioè il rilevamento dei lavori eseguiti, l’applicazione dei prezzi contabili, l’applicazione dei prezzi contrattuali ecc…; possono derivare da divergenze tra l’appaltatore e la direzione dei lavori o dal comportamento dell’amministrazione e dell’appaltatore nell’adempimento delle reciproche obbligazioni; possono trarre origine da evenienze imprevedibili connesse al compimento delle opere ed alle tempistiche di realizzazione.

Le controversie tra appaltatore e amministrazione traggono essenzialmente origine dalle c.d. riserve dell’appaltatore e cioè, secondo la terminologia del settore, dalle domande di maggiori compensi che l’appaltatore, se non vuole decadere dal relativo diritto (e pertanto dalla possibilità di far valere in qualsiasi tempo e modo la sua pretesa) è tenuto a formulare nel corso dell’appalto.

La formulazione delle riserve rappresenta un momento estremamente delicato e nevralgico nella vita dell’appalto: dal punto di vista dell’amministrazione per avere tempestiva evidenza della spesa dell’opera, dal punto di vista dell’esecutore per preservare i propri diritti.

Si tratta tuttavia di uno strumento il cui utilizzo deve essere attentamente ponderato: l’abuso rischia di inasprire e compromettere i rapporti tra le parti nonché di indebolire la generale attendibilità delle rivendicazioni dell’impresa.

Non si può ovviamente sottacere la circostanza che spesso tale strumento viene utilizzato per esercitare pressioni sugli Enti al fine di conseguire riconoscimenti economici e per correggere la formulazione di offerte “non pienamente ponderate”; in molti casi si assiste a richieste largamente sovrastimate rispetto all’importo riconosciuto a posteriori.

Tale atteggiamento non costituisce una regola generale e non può inficiare la validità di un istituto che è il fulcro della trasparenza dell’appalto e certamente risulta legato a carenze proprie del Committente.

Sul punto basti pensare che nei contenziosi arbitrali insorti nel 2011 a valle delle riserve iscritte in contabilità la percentuale di soccombenza della P.A.  ha raggiunto quota 97,46%.

Le liti sono una delle principali cause della lievitazione dei costi dei lavori pubblici, non stupisce quindi che in una evidente finalità di contenimento della spesa anche la specifica disciplina sia stata interessata dai recenti interventi legislativi.

Va precisato che la definizione di “riserva” nel senso ora detto è impropria; le richieste dell’appaltatore sono infatti domande.

Si parla propriamente di riserva nei casi in cui all’atto della firma del registro di contabilità o di altro documento l’appaltatore non sia in grado di esplicare contestualmente le sue domande; in tal caso egli firma con l’apposizione accanto alla sottoscrizione della dizione “con riserva” che ha un duplice effetto: in primo luogo, escludere che la sottoscrizione abbia il suo significato tipico che è quello dell’accettazione; in secondo luogo, consentirgli di esplicare la sua domanda nei 15 giorni successivi, così impedendo la decadenza che altrimenti conseguirebbe alla mancata formulazione della stessa. Nel gergo e nella legislazione dei lavori pubblici i due termini “riserva” e “domanda” vengono usati indifferentemente, costituendo generalmente il termine “riserva” sinonimo di domanda.

Nel significato che qui interessa essa è una dichiarazione con la quale una persona compiendo un fatto o un atto intende scongiurare la possibilità che ad esso si attribuisca il valore che altrimenti si darebbe allo stesso.

Più esattamente essa è intesa ad impedire che il fatto o l’atto possa valere o interpretarsi come rinuncia ad un diritto o ad un interesse altrimenti tutelato.

In linea generale, le pretese dell’appaltatore nei confronti dell’amministrazione sono di tre tipi:

  1. pretese di maggiori corrispettivi rispetto a quelli determinati nella contabilità dei lavori; ciò accade quando l’appaltatore ritenga che siano state contabilizzate quantità di lavori inferiori a quelle realmente eseguite; ovvero quando alle quantità eseguite siano stati applicati prezzi di elenco inferiori a quelli dovuti (es. l’applicazione ad uno scavo in roccia del prezzo più basso stabilito per lo scavo in terra);
  2. pretese connesse a fatti di forza maggiore che rendono più onerosa la prestazione dell’appaltatore rispetto a quella contrattualmente prevista (es. l’equo compenso per un imprevisto geologico ai sensi dell’art. 1664 comma 2 c.c.);
  3. pretese di natura risarcitoria in quanto traggono origine da comportamenti illeciti dell’amministrazione (es. una sospensione dei lavori illegittima perché conseguente a negligenze dell’ente appaltante).

Approfondendo la procedura ben più formalistica degli appalti pubblici, l’attività che l’appaltatore deve porre in essere al fine di evitare la decadenza dal suo diritto consiste in una fattispecie risultante da più atti e cioè:

  • iscrizione della domanda (ovvero sottoscrizione con riserva ed esplicazione nei 15 giorni successivi) sul primo atto dell’appalto idoneo a riceverla (es. un verbale di sospensione dei lavori, il libretto delle misure, il verbale di consegna ecc…) coevo o immediatamente successivo al fatto da cui essa trae origine (art. 31 comma 2 CGA oggi art. 191 del DPR 207/2010 tutt’ora vigente alla luce del dlgs 50/2016);
  • iscrizione della stessa domanda (ovvero anche il tal caso sottoscrizione con riserva e successiva esplicazione) sul registro di contabilità all’atto della sottoscrizione di questo immediatamente successiva al fatto (artt. 164 e 165 reg. oggi artt. 189 e 190 del DPR 207/2010 tutt’ora vingenti alla luce del dlgs 50/2016; art 31 comma 2 CGA) e poiché il registro viene sottoposto all’appaltatore in occasione dell’emissione di ogni stato di avanzamento lavori; si può affermare che l’onere in argomento va assolto in occasione dello strato di avanzamento immediatamente successivo al fatto che dà origine alla domanda;
  • conferma della domanda sul conto finale dei lavori (art. 174 commi 2 e 3 reg. oggi art. 201 del DP 207/2010 tutt’ora vigente alla luce del dlgs 50/2016; art. 31 comma 2 CGA).

Dei tre adempimenti ora detti il secondo e il terzo sono necessari, mentre il primo è solo eventuale. Infatti può accadere (e spesso accade) che tra il verificarsi del fatto pregiudizievole per l’appaltatore e la sottoscrizione del registro di contabilità immediatamente successiva a quel fatto non abbia luogo nessun altro atto dell’appalto che possa costituire idonea sede della domanda. In questo caso l’appaltatore evita la decadenza con la formulazione della domanda sul registro di contabilità e con la conferma della stessa sul conto finale.

Le ipotesi in cui si verifica la decadenza sono:

  1. la sottoscrizione senza domanda e senza riserva. In tal caso in luogo di decadenza avvenuta, deve più correttamente parlarsi di avvenuta accettazione dei dati di contabili;
  2. la mancata sottoscrizione;
  3. la sottoscrizione con riserva cui non fa seguito, nel termine di 15 giorni, l’esplicazione della stessa e cioè la formulazione della domanda;
  4. la formulazione tardiva della domanda e cioè non in occasione dello stato di avanzamento immediatamente successivo al fatto;
  5. la domanda inefficace in quanto priva dei requisiti prescritti e cioè dell’indicazione delle ragioni che ne stanno alla base (causa petendi e petitum)
  6. la mancata conferma nel conto finale.

Le ipotesi in cui la decadenza viene evitata sono invece due cioè:

  1. la tempestiva sottoscrizione e contestuale formulazione della domanda completa di causa petendi e petitum e successiva conferma nel conto finale,
  2. la tempestiva sottoscrizione con riserva esplicazione nei successivi 15 giorni completa di causa petendi e petitum e conferma nel conto finale.

Quanto sopra detto può essere sintetizzato nello schema che segue.

La riserva è un atto con sede vincolata.

Essa deve essere formulata negli atti prima detti e non può essere sostituita da equipollenti, quali l’invio di una lettera o di una diffida o il riconoscimento da parte della direzione lavori delle ragioni dell’appaltatore.

Peraltro, la possibilità di formulare la riserva n una sede o in un modo diverso deve ammettersi nei casi un cui il registro di contabilità o gli altri atti non siano nella disponibilità dell’appaltatore per causa a lui non imputabile ovvero quando il registro di contabilità non esista o sia irregolarmente tenuto.

Va posto in tutta evidenza che, secondo la giurisprudenza, l’onere di iscrizione delle riserva è onere di carattere generale, concerne cioè qualsiasi richiesta, da parte dell’appaltatore di ulteriori somme rispetto al corrispettivo contrattuale.

La stessa giurisprudenza, peraltro, esclude dall’onere della formulazione della riserva le seguenti tre categorie di domande:

  1. le pretese dell’appaltatore che traggono origine da situazioni incidenti sulla stessa vita del contratto, come ad esempio la risoluzione per inadempimento dell’amministrazione, l’azione di annullamento per vizi della volontà o il diritto ai compensi nel caso di recesso dell’amministrazione dal contratto;
  2. le pretese che traggono origine da fatti illeciti dell’amministrazione aventi con l’esecuzione dell’opera soltanto un rapporto occasionale e che sono perciò, per la stessa, fonte di responsabilità extracontrattuale;
  3. le pretese che traggono origine da fatti del tutto estranei alla finalità del registro di contabilità di documentazione dell’iter esecutivo dell’opera come per esempio il diritto agli interessi e per i debiti di valore (aventi cioè carattere risarcitorio) la rivalutazione monetaria.

L’onere di iscrizione della riserva infine non sussiste relativamente alle quantità (e non al prezzo!) dei lavori registrati in contabilità in partita provvisoria (un siffatto onere scatterà soltanto al momento in cui i lavori stessi saranno contabilizzati in via definitiva art. 165 coma 6 reg. oggi art. 190 DPR 207/2010 tutt’ora vigente).

Le domande dell’appaltatore per evitare la decadenza devono avere contenuto preciso e determinato sia in ordine alle ragioni su cui si fondano sia in ordine alla quantificazione della pretesa.

Circa il primo dei due elementi (causa petendi) è da escludere che l’appaltatore debba giustificare il fondamento giuridico della sua pretesa; è perciò sufficiente che egli esponga i fatti che stanno a fondamento delle sue domande in modo da far comprendere all’amministrazione le ragioni sostanziali che le giustificano.

Pertanto, una domanda contenente l’esposizione di tali elementi di fatto, ma che richiamasse erroneamente l’applicazione di alcune norme giuridiche anziché di altre o che qualificasse la fattispecie con termini giuridici non corretti non potrebbe essere ritenuta inammissibile avendo essa assolto alla sua finalità sostanziale di informazione in ordine al contenuto reale della pretesa.

Quanto al petitum, la domanda deve indicare con precisione il compenso che l’appaltatore richiede; va precisato che è sufficiente l’indicazione della cifra richiesta e non anche l’esposizione dei criteri e dei calcoli alla base della quantificazione.

In ordine al contenuto della conferma nel conto finale, va precisato che essa non necessariamente deve consistere in una ripetizione delle riserve ovvero in una loro nuova esposizione sintetica, essendo sufficiente una manifestazione di volontà anche generica (es. si confermano le riserve 1,2,3….) che riveli inequivocabilmente l’intendimento dell’appaltatore di mantenerle in vita (art 174 commi 2 e 3 reg. oggi art. 201 del DPR 207/2010 tutt’ora vigente).

Invece non è necessario che le riserve iscritte tempestivamente in occasione di uno stato di avanzamento siano poi ripetute in occasione delle sottoscrizioni del registro di contabilità relative agli stati di avanzamento successivi quando il petitum resta inalterato.

Se invece il petitum subisce incrementi (per es. a causa del prodursi di ulteriori oneri conseguenti ad un imprevisto geologico oppure perché sono nel frattempo aumentate le quantità eseguite) la riserva in occasione degli stati di avanzamento successivi è necessaria ad aggiornare il petitum, poiché in mancanza di essa l’importo che l’appaltatore può pretendere è quello formulato con la riserva precedente verificandosi decadenza per i maggiori importi maturati successivamente.

Vi sono casi in cui la formulazione delle riserve non ha luogo in corso d’opera sul registro di contabilità bensì al termine dei lavori.

Ciò si verifica quando l’appaltatore ritenga lesi i suoi diritti dalle risultanze di tre atti, e cioè il conto finale, il certificato di ultimazione ed il certificato di collaudo.

Il conto finale può in alcuni casi costituire sede idonea per la formulazione, per la prima volta, di riserve e perciò per la proposizione di riserve quando la lesione del diritto dell’appaltatore avviene proprio ad opera del conto finale il quale per es. rispetto all’ultimo stato di avanzamento rettifichi la contabilità in danno dell’appaltatore o comunque vi introduca riduzioni o detrazioni che l’appaltatore ritenga ingiustificate o illegittime.

La riserva può in tal caso a pena di decadenza essere formulata per la prima volta nel conto finale costituendo questo il primo atto dell’appalto idoneo a riceverla.

Ovviamente non vi è ripetizione della riserva sul registro di contabilità, venendo di regola il conto finale compilato successivamente alla chiusura del registro di contabilità.

Il certificato di ultimazione dei lavori può essere sede di riserve nuove quando queste traggono origine dal certificato stesso perché ad es. esso attesti un ritardo rispetto al termine contrattuale di esecuzione che l’appaltatore intende contestare.

Poiché il certificato di ultimazione precede il conto finale l’appaltatore deve confermare la riserva su quest’ultimo secondo le regole generali.

In alcuni casi infine l’appaltatore può avanzare riserve per la prima volta sul certificato di collaudo (art 203 reg. oggi art. 233 del DPR 207/2010 tutt’ora vigente alla luce del d.lgs. 50/2016).

Si tratta delle domande che traggono origine da asserite irregolarità delle operazioni condotte dal collaudatore ovvero dalla asserita non correttezza delle risultanze del collaudo o infine da ritardo nella commissione del certificato di collaudo che abbia prodotto maggiori oneri dell’appaltatore come per esempio quelli di protratta custodia e manutenzione dell’opera, maggior vincolo fideiussioni, ritardato pagamento del saldo ecc..

L’appaltatore deve con le forme muovere sue contestazioni sul certificato di collaudo a pena di decadenza con le forme e modalità stabilite dalle regole generali.

3. La risoluzione delle riserve mediante accordo bonario ex art 240 (oggi art. 205)

L’istituto dell’accordo bonario non può che essere condiviso per le sue finalità nel voler ridurre il contenzioso giudiziario e porre l’amministrazione nelle condizioni di valutare l’effettivo costo dell’opera in corso di realizzazione.

L’art. 240 dell’ex d.lgs. 163/2006 (e in precedenza l’art. 31 bis della Legge 109/1994) prevedeva l’istituto dell’accordo bonario e le procedure da seguirsi quando l’importo complessivo delle riserve superavano il 10% dell’importo contrattuale.

Oggi tale norma viene sostituita dall’art. 205 del D.Lgs 50/2016 con alcune novità che diminuiscono l’efficacia dell’istituto limitandone l’applicabilità ai casi in cui l’importo complessivo dell’opera, a seguito dell’iscrizione delle riserve possa variare, nella forbice del 5% – 15% dell’importo contrattuale .

Tale limitazione appare non condivisibile.

Rinviando sul tema ad uno specifico approfondimento è bene evidente come detto nuovo approccio limiti  significativamente  l’utilità dell’istituto.

Si tratta di innovazioni legislative con fortissime ricadute che fanno seguito a quelle (inopinate) già introdotte dal  D.L. n. 70/2011  (in vigore dal 14 Maggio 2011 ed oggi abrogato) e che solleva più di una problematica.

Ci si riferisce a titolo di esempio all’inibizione dalla formulazione di riserve prevista dalla norma in presenza di un progetto validato o al tetto anch’esso  incomprensibile del 20%.

Si è molto discusso sul fatto se il limite del 20% nella formulazione delle riserve, fosse rivolto all’impresa che intenda far valere delle contestazioni o piuttosto alla stazione appaltante, ove la stessa ritenga che di addivenire ad una soluzione conciliativa della controversia attraverso l’istituto dell’accordo bonario.

Gli operatori più “intransigenti” hanno ritenuto che la soglia del 20% costituisse un limite inderogabile (per l’impresa appaltatrice) ove la stessa intendesse formulare delle riserve.

Tuttavia tale interpretazione, apparentemente corretta, ha prestato il fianco a più di una osservazione; la novella legislativa infatti oltre a presentare profili di dubbia legittimità costituzionale va inquadrata nell’ambito dell’accordo bonario la cui esperibilità, secondo la legge, è condizione di ammissibilità dell’azione giudiziaria che resta accessibile solo ove il tentativo di conciliazione fallisca ovvero siano decorsi i termini per la sua attivazione.

Dette argomentazioni hanno portano a ritenere che detta soglia costituisca un tetto per la stazione appaltante applicabile nel caso in cui la stazione appaltante ritenga di addivenire all’accordo bonario essendo il committente obbligato, sì, ad esperire il tentativo e non anche ad accogliere le riserve-contestazioni dell’impresa alla cui determinazione si procede in presenza della fondatezza delle stesse.

Ecco quindi che il limite del 20% volto al contenimento dei costi deve intendersi imposto alla stazione appaltante ove la stessa voglia pervenire alla definizione stragiudiziale della controversia nascente dall’apposizione delle riserve.

Il medesimo ragionamento, sempre per non incorrere in ragionamenti illogici e costituzionalemnete censurabili, deve essere seguito nell’applicazione della forcella introdotta dal d.lgs. 50/2016.

In ogni caso è bene evedienziare l’utilità di uno strumento che, ove bene applicato, comporta una sensibile riduzione del contenzioso con evidenti vantaggi per tutte le parti in causa.

Anche la circostanza sollevata da più parti circa la pretestuosità di tale strumento, ponendo a supporto il divario tra le somme richieste e quelle riconosciute, può essere diversamente interpretato.

La proposta di accordo, nel costiuire di fatto un accordo stragiudiziale tra le parti, in aderenza ai principi civilistici costiuisce un atto contenente reciproche concessioni: in tale ottica e nella considerazione 1) dell’attuale e perdurante stretta creditizia e 2) dell’aleatorietà del sistema giudiziario ben può essere letto l’accoglimento da parte dell’esecutore si somme ben inferiori a quelle trascritte.

In disparte le perplessità per le modifiche introdotte pare invece apprezzabile, nell’ottica di riduzione del contenzioso, un’innovazione significativa apportata dal d.lgs. 50/2016 con l’art. 207 che prevede  l’istituzione del collegio consultivo tecnico.

In buona sostanza tale collegio anciciperebbe e preverrebbe i compiti della commissione prevista dall’ex art. 240 del d.lgs. 163/2006 (oggi sostituita dall’esperto incaricato della formulazione della proposta motivata di accordo bonario di cui all’art. 205 del vigente d.lgs. 50/2016).

La novità sostanziale sta nel fatto che il novello collegio può essere istituito dalle parti ordinariamente per tutta la durata della commessa “al fine di prevenire controversie”.

Di contro la commissione prevista nella precedente normativa poteva essere istituita solamente dopo le richieste dell’appaltatore quando le stesse avessero raggiunto almeno un minimo del 10% dell’importo contrattuale e può essere oggi invocato l’intervento dell’esperto di cui al comma 5 dell’art. 205 del d.lgs. 50/2016 quando “in seguito all’iscrizione di riserve sui documenti contabili, l’importo economico dell’opera possa variare tra il 5 ed il 15 per cento dell’importo contrattuale.

In buona sostanza oggi il legislatore ha inteso dotare la commessa di un ulteriore strumento di prevenzione del contenzioso sin dalla fase antecedente alle probabili richieste dell’impresa.

4. Brevi cenni giurisprudenziali

Per meglio comprendere quanto sin qui argomentato si riportano a seguire alcuni utili pronunciamenti:

TRIBUNALE ROMA SEZ. 11/11/2010 N. 22351

Nel contratto di appalto pubblico l’onere di iscrizione di riserva non è circoscritto agli elementi di natura strettamente contabile ma riguarda tutti quei fatti che sono comunque idonei a produrre spesa e oneri a carico dell’appaltatore. Attraverso la riserva l’appaltatore può contestare quindi non soltanto la contabilizzazione dei corrispettivi effettuata dall’amministrazione ma anche avanzare pretese di maggiori compensi, indennizzi e risarcimenti a qualsiasi titolo. Esso concerne in via generale ogni pretesa afferente compensi o indennizzi aggiuntivi rispetto al prezzo contrattuale originario in relazione a qualsiasi situazione insorta nel corso dell’esecuzione dell’opera appaltata incluso il diritto all’equo compenso per le variazioni ordinate dal committente del progetto e del piano iniziale dei lavori comportanti modifiche superiori al quinto non essendo limitato ai soli elementi di natura puramente contabile ma riferendosi in virtù del r.d. 25 maggio n. 350 a tutti i fatti producenti spesa anche se dipendenti da colpa dell’appaltante sempre che si risolvano in comportamenti incidenti direttamente sull’esecuzione dell’opera e quindi inerenti al rapporto contrattuale.

CASSAZIONE CIVILE ZEZ. I 05/02/2016 N. 2316

In tema di appalto pubblico in caso di sospensione dei lavori è tempestiva la formulazione di riserva nel verbale di ripresa o in qualsiasi altro atto successivo al verbale chen dispone la sospensione quando questa benchè inizialmente legittima abbia poi perso tale connotazione per il suo eccessivo protrarsi con il conseguente collegamento del danno a quest’ultimo poiché in siffatta ipotesi la rilevanza causale del fatto illegittimo dell’appaltante rispetto ai maggiori oneri deivati all’appaltatore è accertabile solo al momento della ripresa dei lavori; resta peraltro salva, tenuto conto della distinzione tra il momento in cui il danno sia presumibilmente configurabile e quello in cui esso sia precisamente quantificabile la facoltà dell’appaltatore una volta formulata tempestivamente la riserva di precisare l’entità del pregiudizio subito nelle successive registrazioni o in chiusura del conto finale anche con riferimento al periodo precedente la formulazione della riserva.

CASSAZIONE CIVILE SEZ. II 08/10/2014 N. 21205

In materia di appalto di opere pubbliche secondo cui l’onere di iscrivere apposita riserva nel registro di contabilità posto dagli artt. 53 54e 56 r.d. n. 350 del 1985 a carico dell’appaltatore che intenda ottenere il riconoscimento di maggiori compensi rimborsi o indennizzi in dipendenza di fatti sopravvenuti nel corso dell’esecuzione dell’opera sorge al momento dellaprima registrazione successiva al verificarsi del fatto dal quale traggono origine gli oneri denunciati e ciò anche con riferimento a quelle situazioni di non immediata portata onerosa la cui potenzialità dannosa si presenti peraltro già dall’inizio obiettivamente apprezzabile secondo criteri di media diligenza e di buona fede. L’istituto della riserva risponde infatti all’esigenza di assicurare la tempestiva e costante evidenza di tutti i fattori incidenti sui costi dell’appalto che costituiscano oggetto di contrastanti valutazioni delle parti in modo tale da consentire all’amministrazione di procedere senza ritardo alle verifiche necessarie per accertare la fondatezza delle pretese dell’appaltatore e al tempo stesso da assicurare la continua evidenza della spesa complessiva occorrente per la realizzazione dell’opera in funzione della corretta utilizzazione e dell’eventuale integrazione dei mezzi finanziari a tal fine predisposti nonché da rendere possibile in qualsiasi momento la valutazione dell’opportunità di recedere dal contratto in relazione al proseguimento dei fini d’interesse pubblico.

La fase di risoluzione in via amministrativa delle controversie insorte nel corso dell’appalto pubblico relative alle riserve formulate dall’appaltatore ai sensi e del r.d. n. 350 del 1895 richiamato dall’art 42 d.P.R. n. 1063 del 1962 si conclude con una deliberazione dell’amministrazione sulle domande dell’appaltatore assunta nelle forme pubblicistiche prescritte per le deliberazioni amministrative dell’ente appaltante dalla relativa disciplina ma avente valenza privatistica non essendo espressione nell’ambito del rapporto con l’appaltatore di poteri autoritativi bensì della struttura privatistica del rapporto. A tale deliberazione pertanto nell’ambito del rapporto contrattuale tra ente appaltante e appaltatore va data valenza di atto negoziale con il quale l’amministrazione determina esternandola con il portarla a conoscenza dell’appaltatore la propria volontà in ordine all’accettazione o meno delle domande formulate in sede di riserve e alla somma che l’amministrazione è disposta a erogare riguardo a esse. A seguito della notificazione all’appaltatore di detta deliberazione decorre il termine perentorio per proporre domanda di arbitrato ovvero domanda dinanzi al giudice ordinario. Pertanto in mancanza di tale proposizione ancorchè non vi sia accettazione espressa delle determinazioni assunte dall’amministrazione è precluso all’appaltatore metterle nuovamente in discussione.

Ha ritenuto, conclusivamente la Suprema Corte in applicazione dei riferiti principi che qualunque sia il contenuto della deliberazione dell’amministrazione sulle riserve è irrilevante la normativa civilistica sulla transazione poiché una volta portata comunque a conoscenza dell’appaltatore la stessa può essere accettata da lui con qualsiasi comportamento idoneo a escludere la volontà di proporre domanda di arbitrato ovvero azione innanzi al giudice ordinario ove sostanziandosi in atti adesivi al contenuto della deliberazione e implicanti nel contestato della disciplina dell’appalto rinuncia a far valere le riserve non accolte come nella specie in cui dopo la comunicazione della determinazione l’amministrazione aveva emesso mandati di pagamento incassati dall’appaltatore senza alcuna preventiva contestazione o riserva dimostrando la volontà di aderire alla risoluzione adottata dall’amministrazione in relazione a tutte le riserve formulate.

LODI ARBITRALI Roma

Lodo 19/11/2011 n. 114

Per evidenti motivi legati all’andamento dei lavori, l’accettazione senza riserve della variante e dell’atto di sottomissione non può implicare una rinuncia dell’impresa a pretese per fatti verificatisi dopo la variante stessa: come chiarito dalla giurisprudenza (Cass., III Sez., 10 maggio 2005, n. 9747), una rinuncia del genere sarebbe da ritenere nulla qualora si concreti in una rinuncia preventiva a pretese future.

Lodo 20/12/2010 n. 163

L’iscrizione delle riserve sul registro di contabilità è condizione necessaria ma non sufficiente per la loro efficacia essendo indispensabile a questo fine anche la loro conferma all’atto della sottoscrizione del conto finale: e che dunque seppure non occorre che le riserve siano state rinnovate ogni qualvolta si compia un atto di contabilità è tuttavia necessario che esse siano ripetute, ribadite e comunque “confermate” all’atto della sottoscrizione del conto finale.

Lodo 04/03/2009 n. 38

L’amministrazione deve assicurare all’impresa per tutta la durata dell’appalto la possibilità di eseguire tempestivamente i lavori: la necessità di introdurre varianti, non determinata da cause obbiettivamente imprevedibili al momento della progettazione iniziale comporta obbligo risarcitorio a carico dell’amministrazione. Deve pertanto ritenersi riferibile alla P.A. la sospensione al fine di ottenere l’approvazione di una perizia di variante su un progetto predisposto dall’amministrazione appaltante, al riguardo deve ritenersi illegittima la sospensione, laddove riferibile a comportamenti della P.A., determinata dall’esigenza di approntare una perizia di variante e suppletiva per omessa preventiva verifica del progetto in relazione al terreno ed al sottosuolo e per omessa previsione di opere necessarie.

Lodo 17/06/2008 n. 75

Secondo l’ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, alla stazione appaltante si impone di predisporre una progettazione completa e concretamente eseguibile, sì che anche il fermo dei lavori nelle more dell’approvazione di una perizia di variante intesa a porre anche solo parzialmente rimedio a negligenze o imperizie contenute nel progetto, ovvero che sia finalizzata al miglioramento dell’opera ed alla sua funzionalità o all’integrazione della stessa, impegna la responsabilità della committente per i maggiori oneri e danni conseguenti (cd. obbligazione progettuale) (Coll. Arb.29/9/2006, n. 76; Cass. Sez. I 29/4/2006, n. 10052; Coll. Arb. 3/7/2007, n. 96/07; Coll. Arb. 26/2/2002; Coll. Arb. 8/4/1999). L’obbligazione progettuale non può essere surrettiziamente traslata in capo all’appaltatore e tanto meno una simile traslazione può derivare da una dichiarazione resa in sede di gara dall’Impresa in ordine all’adeguatezza del progetto. Tale dichiarazione, come chiarito dalla giurisprudenza, ha unicamente valore di scienza e non può nemmeno considerarsi come assunzione di paternità della progettazione, né tantomeno costituisce una dichiarazione negoziale di esclusione di responsabilità per inadempimento degli obblighi in materia di progettazione (Coll. Arb. 25/10/2005 n. 56). Sul punto si è da tempo espressa anche l’Autorità di Vigilanza sui Lavori Pubblici con deliberazione del 6/6/2001, n. 236, avente ad oggetto le “clausole in materia di progettazione e relativa responsabilità a carico delle imprese”, nella quale ha chiarito che “qualunque previsione che sposti sull’impresa appaltatrice l’assunzione di responsabilità circa la corretta redazione del progetto esecutivo (…) costituisce clausola tamquam non esset”. In ossequio ai fondamentali canoni di correttezza, cooperazione e buona fede, la stazione appaltante deve, sotto pena di risarcimento dei danni cagionati all’appaltatore, porre lo stesso in condizione di eseguire concretamente i lavori, senza impedimento alcuno, così da impiegare in modo razionale ed economico le proprie risorse e la propria capacità produttiva (Cass. Sez. I 23/5/2002, n. 7543). La possibilità della consegna frazionata dei lavori non può costituire un modo surrettizio di elusione dell’obbligazione, gravante sulla parte committente, di porre l’appaltatore in condizione di eseguire i lavori senza impedimento alcuno e secondo il programma stabilito. La redazione di una perizia di variante rappresenta un doveroso intervento collaborativo del creditore (Cass. Sez. I 29/4/2006, n. 10052).

Lodo 12/02/2008 n. 19

Se la riserva riguarda fatti di natura continuativa, la rigidità dell’obbligo di immediata iscrizione di riserva trova un temperamento, essendo l’impresa tenuta a iscrivere la riserva nel momento in cui il fatto manifesti, a un appaltatore di ordinaria diligenza, la sua vera portata o le sue effettive conseguenze, quando cioè si renda palese la rilevanza causale del fatto dannoso. Secondo il costante orientamento giurisprudenziale, l’appaltatore che, nel caso di forzata inattività o rallentamento del cantiere per fatto imputabile al committente, subisca un pregiudizio economico ulteriore rispetto a quello relativo alle spese generali, alla retribuzione del personale, al mancato ammortamento delle attrezzature, ha diritto alla rifusione del mancato utile, atteso che, ove la sospensione o il rallentamento dei lavori fossero mancati, l’appaltatore stesso, secondo ragionevole previsione, avrebbe realizzato utili impiegando capitali e mezzi in altri nuovi appalti (Coll. Arb., 12/13/16 settembre 2005; Coll. Arb. 20 febbraio 1989).

Lodo 12/02/2008 n. 18

L’impegno dell’Impresa, contenuto nell’atto aggiuntivo, a non avanzare riserve, deve ritenersi operante unicamente con riferimento ai maggiori oneri e danni sofferti anteriormente alla data di sottoscrizione del suddetto atto negoziale. Una rinuncia a qualsiasi pretesa ulteriore è valida per i diritti già maturati, ma è da ritenere nulla qualora sia preventiva e riguardi pretese future (Cass. Sez. III, 10/5/2005, n. 9447). L’onere dell’appaltatore di inserire le proprie pretese nel registro di contabilità e nel conto finale e, quindi, nel certificato di collaudo ex art. 91 e 107 r.d. n. 350 del 1895, riguarda le sole istanze inerenti alla contabilizzazione del corrispettivo contrattuale delle opere eseguite o eseguende, ma non già anche le riserve per eventuale revisione prezzi, con riguardo alle quali è sufficiente che la relativa domanda sia comunque presentata “prima della firma del certificato di collaudo” senza che sia necessaria la sua riproduzione in quel documento (Cass. Sez. I, 16/6/1997 n. 5373; TAR Puglia Lecce Sez. II 4/6/2003 n.3628; TAR Toscana Sez. II 21/3/2001, n. 601). Nelle ipotesi in cui lo sviluppo dei lavori viene alterato e ritardato a causa di fatti ascrivibili a comportamento inadempiente della stazione appaltante, il calcolo della revisione prezzi deve tenere conto dell’effettiva durata dell’appalto e non del programma originario dei lavori allegato al contratto.

5. Carenza progettuale:  il vero fulcro del problema

Come già detto, nell’accezione comune, il concetto di “riserva” in un’opera pubblica viene visto come un aspetto patologico e negativo della commessa.

In effetti leggendo gli eventi succedutisi nel tempo si può comprendere che una lettura così semplicistica è fuorviante e comunque non aderente alle intenzioni del legislatore nel porre in campo tale strumento amministrativo.

In una commessa pubblica gli elementi che interagiscono sono di due tipi: oggettivi e soggettivi.

Nel primo caso si tratta dell’oggetto della prestazione, ovvero del progetto; nel secondo caso si tratta di tutti i soggetti agenti nella commessa stessa ovvero l’Appaltatore, la Stazione Appaltante, il RUP, il Direttore dei Lavori ecc.

In che modo l’oggetto influisce negativamente sull’acquisizione di una commessa in perdita e quindi la necessità di utilizzare impropriamente gli strumenti messi a disposizione della legislazione?

Ebbene la quasi totalità delle contestazioni poste in campo dalle imprese, a prescindere naturalmente dalla tempestività e accettabilità delle riserve iscritte, attengono ad una condizione di carenza progettuale, ovvero ad una condizione in cui il progetto (ovvero la descrizione dell’oggetto del negozio giuridico) non restituisce una coerentemente illustrazione rispetto alle vere condizioni sito specifiche ed alle pattuizioni contrattuali.

Sul punto è bene precisare che è prerogativa esclusiva della stazione appaltante quella di mettere a disposizione una progettazione esaustiva prescindendo per esigenze di sintesi del presente articolo dall’analizzare le eventuali responsabilità proprie di ciascun soggetto incaricato dalla committenza.

Ad aggravare questo quadro complessivo della situazione esiste sovente una gestione poco accorta della commessa nell’indugiare nel mettere in campo tutte le risorse che la normativa speciale concede per la risoluzione degli elementi impeditivi determinati dalla predetta carenza progettuale.

In tal guisa le conseguenze economiche negative si aggravano atteso che i pregiudizi determinati in capo all’appaltatore, ove effettivamente esistenti, sono proporzionali al tempo atteso che i costi che l’appaltatore sostiene e gli impegni cui si sottopone per eseguire l’appalto sono nella gran parte dipendenti dall’aspetto temporale.

In altri termini più la progettazione risulta essere carente, ovvero mancante di tutte le previsioni necessarie per la regolare esecuzione dell’opera, più lungo sarà il tempo necessario per l’esecuzione della commessa, proprio per la necessità di superare gli elementi impeditivi appalesatisi a seguito della mancata corretta previsione.

Dall’altro lato l’appaltatore subisce, a partire dalla consegna dei lavori, dei costi continuativi che prescindono dalla quantità di lavoro che questi esegue e che, di contro, sono strettamente connessi al tempo che trascorre.

Per cui posto “C” come costi di commessa e “T” come tempo di esecuzione si avrà la seguente notazione : C= k*T con k pari al costo giornaliero medio[1].

La produzione complessiva “P” è anch’essa proporzionale al tempo  e si avrà quindi:

P=p*T, dove “p” è la produzione giornaliera che, per sua natura non è costante ma variabile.

La produzione “P” è costituita in una commessa che si ritiene congrua da due fattori principali: il costo “C” e l’utile di impresa “U” per cui si avrà che P=C+U.

Da ciò si evince che C+U = p*T e quindi U= p*T-C ovvero U=p*T-k*T e quindi

U = T*(p-k)

Su questa semplice espressione si è basata la valutazione dell’appaltatore nella formulazione della propria offerta e ferma restando il tempo T che è invariabile e il costo unitario k che è anch’esso sostanzialmente costante (certamente per le spese generali, la mano d’opera, ecc.) ad influenzare l’utile di impresa resta il solo termine della produttività giornaliera che ove fosse inferiore ai costi giornalieri o nullo (per una eventuale sospensione totale) sarebbe addirittura negativo.

Si ha pertanto il seguente sillogismo:

Delineato lo scenario si rappresenta dal punto di vista formale come le riserve possano essere catalogate in due diverse principali categorie:

  1. Le riserve amministrative che attengono alle richiesta dell’appaltatore tendenti a compensare i maggiori oneri a carattere continuativo sostenuti dallo stesso appaltatore nell’esecuzione dei lavori (a) rispetto alle previsioni in conseguenza di variazioni alle modalità o ai tempi di esecuzione o (b) volte al riconoscimento di maggiori importi derivanti da situazioni non previste dalle parti determinate da cause di forza maggiore;
    1. le riserve tecniche attinenti il riconoscimento di maggiori importi rispetto a quanto determinato in contabilità.

Nel primo caso è evidente come il tutto nasca da errate previsioni progettuali rispetto alle condizioni reali, nel secondo caso potrebbe trattarsi sia di causa ascrivibile  a carenza progettuale e sia ad errore contabile.

In questo contesto lo strumento della riserva non potrà essere considerato “il male della commessa” in quanto non avendo connotazioni etiche costituisce lo strumento di legge per instaurare un giusto contraddittorio tra appaltatore e committenza.

Occorre, di contro, evidenziare come la mancata applicazione di questo strumento porterebbe ad una serie di accordi non codificati e di scarsa trasparenza .

A voler semplificare, la riserva deve essere intesa come la cura della patologia, e non la patologia stessa che va ricercata nella carenza del progetto o nella mancata cooperazione della stazione appaltante.

In tale direzione sono accolti con favore le modifiche introdotte del nuovo codice volte a “sfavorire” la progettazione interna alle stazioni appaltanti (ai cui organi l’incentivazione viene ora riconosciuta per le più proprie funzioni di controllo e programmazione e non di progettazione) e le cautele imposte nello sviluppo del progetto avuto riguardo per esempio alla questione dei sottoservizi e dei pareri dei soggetti terzi.

6. L’iscrizione della  riserva quale elemento di garanzia

Sulla tempestività delle riserve si è già scritto ma è emblematico il caso concreto determinatosi in una commessa nella quale chi scrive svolgeva il ruolo di consulente dell’appaltatore.

Il progetto alla base della commessa era palesemente carente sia avuto riguardo alle autorizzazioni necessarie che allo sviluppo dei lavori.

Trattandosi di una grossa condotta dell’acquedotto, pur senza tutti i dettagli è apprezzabile come l’assenza delle autorizzazioni agli scavi su strade provinciali o statali, o il mancato recepimento delle prescrizioni o anche il mancato perfezionamento degli espropri o delle occupazioni non permettevano all’impresa di poter effettivamente iniziare i lavori.

L’appaltatore facendo conto sulle rassicurazioni informali della stazione appaltante non eccepiva formalmente tale condizioni  nel verbale di consegna con l’apposizione della relativa riserva.

Or bene la stazione appaltante, accertato il mancato accantieramento ed effettivo inizio dei lavori, avviava la risoluzione contrattuale a danno ai sensi dell’art. 136 del dlgs 163 del 2006.

L’appaltatore in tale contesto esponeva le proprie ragioni evidenziando che il mancato inizio dei lavori era direttamente consequenziale alle carenze progettuali anzidette e quindi per responsabilità della stazione appaltante che ha l’obbligo di cooperazione nel fornire un progetto esecutivo ed esaustivo.

La stazione appaltante perveniva comunque alla risoluzione del contratto in danno con conseguente incameramento della cauzione ; della questione veniva investita l’Autorità di Vigilanza.

Quest’ultima, con propria nota prot. 0003435 del 10/01/2014, pur riconoscendo la carenza del progetto, evidenziava in buona sostanza come la mancata formulazione della riserva alla consegna dei lavori ovvero l’intempestività dell’impresa nell’eccepire le condizioni effettive rendessero legittimo l’operato della stazione appaltante.

Tale assunto da un punto di vista strettamente tecnico ovviamente non può essere condiviso e sarà oggetto di rivendicazione in sede giudiziaria.

Tuttavia da tale vicenda può desumersi una regola di prudenza essenziale per l’appaltatore: la riserva è un atto fondamentale ed imprescindibile non tanto per la rivendicazione di eventuali somme quanto di tutela per la posizione dell’esecutore .


[1] Viene preso il costo medio per una semplificazione del calcolo, e solo al fine di evidenziare la dinamica del rapporto tra costi e produttività, ma in effetti ai fini del calcolo del danno alcuni costi (come i materiali ad esempio) non possono essere considerati atteso che sono costi che si sopportano non in proporzione al tempo ma in proporzione alla produzione. Per cui ove non vi è produzione non viene sostenuta tale tipologia di costo.

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Ing. Pier Luigi Gianforte
Specialista in materia di lavori pubblici
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