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1. Premessa e fonti di riferimento

Il nuovo Codice dei contratti pubblici e delle concessioni (il Decreto Legislativo n. 50 del 18 aprile 2016, di seguito il “Codice”) ha riscritto, inter alia, le norme sull’esclusione dei concorrenti nelle gare pubbliche.

Prima contenuta nell’art. 38 D.Lgs. n. 163/2006, adesso la nuova disciplina è normata dall’art. 80 del Codice, che disciplina il nuovo quadro dei c.d. “requisiti di ordine generale (o “morali”)” che i concorrenti devono possedere ai fini della partecipazione alle gare pubbliche.

Nella presente esposizione, senza pretesa di esaustività, si traccerà un parallelismo tra la vecchia e la nuova disciplina (con esclusione della fattispecie sub art. 80, comma 1, lett c), già oggetto di separata trattazione nell’ambito dello scorso numero della Rivista), passando attraverso l’esame della  “Legge delega” (L. n. 11 del 28 gennaio 2016) e delle previsioni di massima contenute nelle Direttive comunitarie n. 23/2014/UE e n. 24/2014/UE e con l’ausilio del commento contenuto nel parere del Consiglio di Stato del 21 marzo 2016.

Utile ed al contempo interessante supporto per l’analisi della materia è anche la sintesi (di seguito la “Tabella”) del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti nella “Tabella di concordanza relativa al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, recante: Attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture”, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale 19 aprile 2016, n. 91, un valido strumento sinottico, organizzata su tre colonne, in cui – rispettivamente – si evidenziano i principi della Direttiva e della Legge delega, così come recepiti dal Codice.

2. La norma-quadro

L’art. 80 – è bene premetterlo – è una “norma–quadro”, che contiene dei precetti di massima e necessita di puntuale regolamentazione.

In tal senso, il comma 13 dell’art. 80 prevede che “con linee guida l’ANAC, da adottarsi entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente codice, può precisare, al fine di garantire omogeneità di prassi da parte delle stazioni appaltanti, quali mezzi di prova considerare adeguati per la dimostrazione delle circostanze di esclusione di cui al comma 5, lettera c), ovvero quali carenze nell’esecuzione di un procedente contratto di appalto siano significative ai fini del medesimo comma 5, lettera c)”.

La locuzione “può”, in realtà, si configura come un “dovere”, poiché la copiosa giurisprudenza sul punto, formatasi in vigenza del “vecchio Codice” necessita di una organica sistemazione che consenta l’uniformità di interpretazione che costituisce l’anima ispiratrice del Codice.

Con linee guida l’ANAC, da adottarsi entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente codice, può precisare, al fine di garantire omogeneità di prassi da parte delle stazioni appaltanti, quali mezzi di prova considerare adeguati per la dimostrazione delle circostanze di esclusione

Ed anche il compito attribuito all’ANAC è il segno distintivo del nuovo Codice che – come si è scritto da più parti – è costituito da una “ossatura” normativa, che sarà implementata dall’ANAC mediante interventi di soft law, con ciò abbandonando il precedente schema del “Testo Unico”, a favore di uno strumento più gestibile nel corso del tempo, in grado di “autorigenerarsi” con l’intervento, via via, di nuove modifiche.

Proprio con riguardo al tema della prassi appare opportuno ricordare quanto il considerando 85 della Direttiva Appalti recitava in merito alle modalità di comprova dell’insussistenza dei motivi di esclusione: “È importante che le decisioni delle amministrazioni aggiudicatrici siano basate su informazioni recenti, in particolare per quanto attiene ai motivi di esclusione, dal momento che importanti cambiamenti possono avvenire molto rapidamente, ad esempio in casi di difficoltà finanziarie che renderebbero l’operatore economico inidoneo o, al contrario, perché un debito in essere relativo ai contributi previdenziali potrebbe essere stato saldato nel frattempo. Pertanto è preferibile che le amministrazioni aggiudicatrici verifichino tali informazioni, ove possibile, mediante l’accesso alle banche dati pertinenti, che dovrebbero essere nazionali in quanto gestite da autorità pubbliche. Nella fase attuale di sviluppo, potrebbero registrarsi ancora casi in cui ciò non sia possibile per motivi tecnici. La Commissione dovrebbe pertanto prevedere la promozione di misure che possano agevolare il ricorso a informazioni aggiornate per via elettronica, come il rafforzamento di strumenti che offrono accesso ai fascicoli d’impresa virtuali, o mezzi per facilitare l’interoperabilità tra banche dati ovvero altre misure di accompagnamento analoghe”.

Di fatto, quindi, la norma in commento costituirà il banco di prova per misurare la capacità del Codice di  completarsi attraverso la prassi.

3. La Legge delega e le Direttive UE

La Legge delega non si occupa delle cause di esclusione; forse, ritiene soddisfacente riferirsi all’argomento citando i principi generali illustrati dalle Direttive comunitarie, soprattutto nei “considerando” iniziali e nell’art. 57 della Direttiva n. 24/2104/UE (“Direttiva appalti”) e lasciando poi l’attuazione di tali principi ad una fase normativa successiva.

La lettura della Tabella predisposta dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, mostra un sostanziale allineamento fra l’art. 80 del Codice e l’art. 57 della Direttiva appalti, mentre rispetto all’art. 38 del vecchio Codice si assiste oggi ad una particolare attenzione alle cause di esclusione relative a violazioni di disposizioni normative ed alla presenza di condanne penali.

Ciò che, invece, riavvicina il nuovo ed il vecchio Codice è la complessità della fase di accertamento (che ricomprende tuttora i membri del consiglio di amministrazione cui sia stata conferita la legale rappresentanza, di direzione o di vigilanza o dei soggetti muniti di poteri di rappresentanza, di direzione o di controllo, del direttore tecnico o del socio unico persona fisica, ovvero del socio di maggioranza in caso di società con meno di quattro soci, se si tratta di altro tipo di società o consorzio. In ogni caso l’esclusione e il divieto operano anche nei confronti dei soggetti cessati dalla carica nell’anno antecedente la data di pubblicazione del bando di gara), laddove, invece, la Direttiva appalti si riferisce soltanto all’”operatore economico”.

In merito, il Consiglio di Stato, nel suo parere del 21 marzo 2016 ha osservato che “… la materia dei requisiti morali e di capacità tecnica e economica ha sinora avuto una disciplina complessa, che ha statisticamente costituito una importante percentuale del contenzioso sugli appalti pubblici.

Il nuovo codice segna anche in questo ambito un significativo cambio di passo, avviando un’evoluzione da un sistema “statico” di requisiti formali verso un sistema “dinamico” di requisiti sostanziali, di tipo reputazionale, e ponendo le premesse per una revisione del sistema di qualificazione incentrato sulle SOA.

Tuttavia le cause di esclusione per difetto di requisiti morali necessitano verosimilmente di una formulazione più chiara e fruibile da parte delle stazioni appaltanti, nonché di un migliore coordinamento con il codice penale e la legislazione antimafia. Potrebbe inoltre essere opportuno non rinunciare a alcuni criteri moralizzatori di maggior rigore della disciplina italiana, contenuti nel (pre)vigente art. 38, d.lgs. n. 163/2006.

La giusta esigenza di requisiti reputazionali non potrà andare a scapito dell’insopprimibile diritto costituzionale di azione in giudizio (art. 24 Cost.), potendosi e dovendosi piuttosto stigmatizzare gli abusi del processo perpetrati con liti emulative e condotte processuali dilatorie (v. art. 84, comma 4, lett. d), codice).

… Sul soccorso istruttorio occorre un’attenta valutazione dell’evoluzione giurisprudenziale su un istituto di nascita recente e non adeguatamente inserito nel tessuto dei nuovi istituti codicistici (tra cui il documento di gara unico europeo).

Quanto alla disciplina antimafia, la stessa risulta richiamata in più articoli del codice (vedi: art. 47, commi 17 e 18; art. 80, comma 2, art. 89, comma 5; art. 108, comma 2, lett. b); art. 110; art. 194, commi 8 e 10).

Manca, tuttavia, una clausola generale di salvezza di quanto disposto nella vigente normativa antimafia, contenuta, invece, nell’abrogando codice appalti del 2006 (art. 247).

Le cause di esclusione per difetto di requisiti morali necessitano verosimilmente di una formulazione più chiara e fruibile da parte delle stazioni appaltanti

Una siffatta clausola potrebbe essere utile nelle more di una più approfondito coordinamento del nuovo codice con il d.lgs. n. 159/2011 a sua volta oggetto di continui aggiornamenti normativi, 47 coordinamento da operarsi in sede di decreto correttivo del codice.”.

4. L’art. 80 del d.lgs. n. 50/2016

Il nuovo Codice accomuna l’appaltatore ed il sub-appaltatore nella sanzione dell’esclusione, in presenza di condanne definitive per reati connessi alla criminalità organizzata, al terrorismo, alla frode, al riciclaggio, ai reati contro l’Amministrazione, a quelli in danno dei lavoratori.

Il Codice, quindi, con una norma complessa, articolata su ben 14 commi (anche questa è una delle caratteristiche distintive del Codice), accomuna l’appaltatore ed il sub-appaltatore nella sanzione dell’esclusione, in presenza di condanne definitive per reati connessi alla criminalità organizzata, al terrorismo, alla frode, al riciclaggio, ai reati contro l’Amministrazione, a quelli in danno dei lavoratori.

E’ stata inserita nella versione definitiva del Codice anche la “norma di chiusura” (alla lettera g) del comma 1) auspicata nel parere del Consiglio di Stato del 21 marzo 2016, nel quale si insisteva ad ampliare la portata del divieto agli operatori condannati per “… ogni altro delitto da cui derivi, quale pena accessoria, l’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione”, intendendo con ciò non esorbitare dalla portata della Direttiva, ma solo dare concretezza ai “principi di tutela dell’ordine pubblico”.

Accessoria l’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione, atteso che l’elenco dei reati contenuto nel comma 1 dell’art. 80 non è esaustivo di tutti i reati dai quali, secondo il vigente ordinamento penale, consegue l’incapacità di contrarre con la pubblica amministrazione.

E’ scomparso il riferimento all’esclusione dei soggetti “… che si trovano in stato di fallimento, di liquidazione coatta, di concordato preventivo … o nei cui riguardi sia in corso un procedimento per la dichiarazione di una di tali situazioni …” di cui alla lettera a) del primo comma del “vecchio” art. 38? Tale mancanza è solo apparente ed, infatti, l’esclusione viene comminata per gli operatori assoggettati a procedura fallimentare dal successivo comma 5, lett. b).

Altra considerazione interessante – atipica per una norma nazionale, ma tutto sommato comprensibile se rapportata al panorama comunitario nel quale la disposizione è nata – è l’aver disciplinato unitariamente reati tanto diversi fra loro, sanzionandoli tutti con l’esclusione, sia che si tratti di infiltrazioni criminali o di terrorismo, sia che il reato attenga alla violazione sulle norme in materia di lavoro, o sul pagamento delle imposte.

Anzi, l’art. 57 della Direttiva appalti si spinge anche oltre, prevedendo – al comma 3 – che “… gli Stati membri prevedere, in via eccezionale, una deroga alle esclusioni obbligatorie …. per esigenze imperative connesse ad un interesse generale, quali la salute pubblica e la tutela dell’ambiente”; in altri termini, se tale previsione fosse stata recepita nel Codice, si sarebbe potuto derogare all’esclusione di un concorrente – in ipotesi condannato per smaltimento illegale di rifiuti e per associazione alla criminalità organizzata – solo per consentirgli di procedere allo smaltimento di altri rifiuti.

Il legislatore nazionale, invece, comprendendo il divario fra le diverse fattispecie, ha previsto ai commi 3 e 4 dell’art. 80 dei temperamenti, ma senza recepire integralmente il predetto comma 3 dell’art. 57 della Direttiva appalti.

Il comma 3 dell’art. 80, infatti, recita che l’esclusione non va disposta “… qualora l’impresa non dimostri che vi sia stata completa ed effettiva dissociazione della condotta penalmente sanzionata …”, né “… quando il reato è stato depenalizzato, ovvero quando è intervenuta la riabilitazione ovvero quando il reato è stato dichiarato estinto dopo la condanna ovvero in caso di revoca della condanna medesima.”

Inoltre, con riguardo agli operatori che hanno “… commesso violazioni gravi, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse o dei contributi previdenziali, secondo la legislazione italiana o quella dello Stato in cui sono stabiliti …”  il comma 4 dispone che non sia applicata la sanzione dell’esclusione “… quando l’operatore economico ha ottemperato ai suoi obblighi pagando o impegnandosi in modo vincolante a pagare le imposte o i contributi previdenziali dovuti, compresi eventuali interessi o multe, purché il pagamento o l’impegno siano stati formalizzati prima della scadenza del termine per la presentazione delle domande.”.

Al comma 5 dell’art. 80, vengono poi previste ulteriori cause di esclusione,  che riprendono sostanzialmente quelle già enunciate dal “vecchio” art. 38, frammezzate da nuovi inserimenti che provengono direttamente dalla Direttiva appalti e segnano l’interesse del legislatore a reprimere condotte anticoncorrenziali (lett. d) ed e) del comma 5), o comportamenti illeciti delle persone giuridiche (lett. f) ).

Per completezza si evidenzia che il comma 5, nel prevedere situazioni riferite all’operatore economico che ne determinano la sua esclusione, riporta alla lettera l) l’ipotesi “pur essendo stato vittima dei reati previsti e puniti dagli articoli 317 e 629 del codice penale aggravati ai sensi dell’articolo 7 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, non risulti aver denunciato i fatti all’autorità giudiziaria, salvo che ricorrano i casi previsti dall’articolo 4, primo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689”. Si ritiene che tale fattispecie non possa essere riferita genericamente all’operatore economico ma che debba necessariamente essere riferita ai soggetti di cui al comma 3. Del resto nel vecchio codice, con formulazione sostanzialmente analoga, la suddetta clausola di esclusione era prevista dall’art. 38, comma 1, lett. m-ter,  che richiamava i soggetti di cui alla precedente lett.  b), cioè i soggetti oggi indicati nel comma 3.[1]

Il comma 6 precisa utilmente che le cause di esclusione operano sempre, anche  “… le stazioni appaltanti escludono un operatore economico in qualunque momento della procedura, qualora risulti che l’operatore economico si trova, a causa di atti compiuti o omessi prima o nel corso della procedura, in una delle situazioni di cui ai commi 1,2, 4 e 5.”. Lo stesso divieto è esteso ai subappaltatori dal comma 14.

Tale precisazione, che trova riscontro nell’art. 57, comma 5 della Direttiva appalti, costituisce una importante esplicitazione dei principi di trasparenza e di semplificazione: basti ricordare la giurisprudenza sviluppatasi sul punto, allorché l’appaltatore – o il subappaltatore – perdano i requisiti in corso di esecuzione del contratto.

Tuttavia, proprio a causa della ristretta applicazione del principio di esclusione, si potrà verificare in futuro la “tenuta” di tale disposizione con riguardo alla corretta interpretazione delle disposizioni comunitarie (nella quali, invece, sembra prevalere il principio di conservazione del contratto, ben espresso dallo stesso art. 57, commi 6 e ss. della citata Direttiva appalti).

Effettivamente, la sclerosi della norma nazionale appare evidente nei successivi commi 7, 8 e 9, laddove essi prevedono una limitata possibilità di riabilitazione per gli operatori che si trovino in situazioni alle quali la legge fa conseguire la sanzione dell’esclusione. Infatti, nonostante l’ampliore sanabilità concessa dall’art. 57 della Direttiva appalti, la norma nazionale dispone “… Un operatore economico, o un subappaltatore, che si trovi in una delle situazioni di cui al comma 1, limitatamente alle ipotesi in cui la sentenza definitiva abbia imposto una pena detentiva non superiore a 18 mesi ovvero abbia riconosciuto l’attenuante della collaborazione come definita per le singole fattispecie di reato, o al comma 5, è ammesso a provare di aver risarcito o di essersi impegnato a risarcire qualunque danno causato dal reato o dall’illecito e di aver adottato provvedimenti concreti di carattere tecnico, organizzativo e relativi al personale idonei a prevenire ulteriori reati o illeciti.  Se la stazione appaltante ritiene che le misure di cui al comma 7 sono sufficienti, l’operatore economico non è escluso della procedura d’appalto; viceversa dell’esclusione viene data motivata comunicazione all’operatore economico. Un operatore economico escluso con sentenza definitiva dalla partecipazione alle procedure di appalto non può avvalersi della possibilità prevista dai commi 7 e 8 nel corso del periodo di esclusione derivante da tale sentenza.“.

In tal senso, dunque, poiché i commi 6 e 7 dell’art. 57 della Direttiva appalti sanciscono come obbligo (non già come facoltà) per gli Stati membri di stabilire le condizioni di “riabilitazione” degli operatori economici, onde ridurre ove possibile i casi di esclusione – in presenza di un comportamento attivo e positivo delle Imprese, che tende distaccarne l’operato dalle precedenti azioni criminose -, viene da chiedersi se gli operatori esclusi in base alla norma nazionale più restrittiva non possano invocare l’applicazione della più favorevole disciplina comunitaria.

Il documento di presentazione del Codice, elaborato dalla Commissione bicamerale in vista dell’approvazione da parte del Consiglio dei Ministri del 15 aprile 2016, sottolinea l’elemento innovativo dell’introduzione dell’istituto del self-cleaning, senza evidenziare che la norma nazionale – sul punto – risulta più restrittiva (se non più perplessa) rispetto alla Direttiva appalti; infatti, conferma che: “… la norma introduce, infine, come elemento di novità l’istituto del self-cleaning, che consente ad un operatore economico, o un subappaltatore la dimostrazione di essere affidabile, nonostante l’esistenza di motivi di esclusione. In particolare, limitatamente all’ipotesi prevista dall’articolo, l’operatore economico o il subappaltatore, sono ammessi a provare di aver risarcito o di essersi impegnato a risarcire qualunque danno causato dal reato o dall’illecito, e di aver adottato provvedimenti concreti di carattere tecnico, organizzativo e relativi al personale idonei a prevenire ulteriori reati o illeciti. Se la stazione appaltante ritiene che le misure sono sufficienti, l’operatore economico non è escluso della procedura d’appalto; viceversa dell’esclusione viene data motivata comunicazione all’operatore economico. In ogni caso, è, comunque, previsto che l’operatore economico non possa avvalersi di detto istituto, qualora sia stato escluso con sentenza definitiva dalla partecipazione alle procedure di appalto nel corso del periodo di esclusione derivante da tale sentenza.”.

La norma introduce, infine, come elemento di novità l’istituto del self-cleaning, che consente ad un operatore economico, o un subappaltatore la dimostrazione di essere affidabile, nonostante l’esistenza di motivi di esclusione In particolare, limitatamente all’ipotesi prevista dall’articolo, l’operatore economico o il subappaltatore, sono ammessi a provare di aver risarcito o di essersi impegnato a risarcire qualunque danno causato dal reato o dall’illecito, e di aver adottato provvedimenti concreti di carattere tecnico, organizzativo e relativi al personale idonei a prevenire ulteriori reati o illeciti.

E’ significativo, in tal senso, che nel parere del Consiglio di Stato del 21 marzo 2016, l’attenzione si concentri proprio sul comma 10, che costituisce puntuale recepimento delle direttive e nel quale si disciplina la durata del periodo di esclusione dalle gare in modo difforme rispetto a quanto sin qui previsto: sinora si dava rilievo solo alla intervenuta riabilitazione, in caso di condanne penali; nella nuova previsione si prescinde dalla intervenuta riabilitazione in sede penale e si fa durare la causa di esclusione per cinque anni, decorrenti dal giudicato penale, a meno che la condanna penale non fissi specificamente il periodo di esclusione.

Il Collegio in sede consultiva osserva che … nel recepire la direttiva, che lasciava agli Stati membri il compito di fissare in via residuale la durata massima dell’esclusione dalle gare, si è usata la locuzione “tale periodo non supera i cinque anni”, non chiarendosi a chi competa fissare la durata dell’esclusione, con il conseguente rischio di contenzioso applicativo. Inoltre, la previsione va raccordata con l’art. 37 cod. pen. che fissa un diverso criterio residuale per stabilire la durata delle pene accessorie (ivi compresa quella della incapacità di contrattare con la p.a.), ove non fissata dalla sentenza. Inoltre, occorre tener conto che nel vigente ordinamento penale non è previsto che le condanne fissino “il periodo di esclusione dalla partecipazione alle procedure di gara”. E’ invece prevista la pena accessoria dell’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione (art. 32-ter cod. pen.), che ha una portata più ampia. E’ opportuno, per evitare equivoci esegetici, uniformare il linguaggio. In conclusione, nel comma 10, è opportuno sostituire le parole “Se il periodo di esclusione dalle partecipazione alle procedure di gara non è stato fissato con sentenza definitiva, tale periodo non supera i cinque anni” con le parole “Se la sentenza di condanna definitiva non fissa la durata della pena accessoria della incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione, tale durata è pari a cinque anni, salvo che la pena principale sia di durata inferiore, e in tal caso è pari alla durata della pena principale …”.

In tale contesto, altrettanto significativo, quindi, è il recepimento da parte del legislatore della formulazione del comma 10 suggerita dal Consiglio di Stato; in sede di prima revisione si auspica solamente che la norma venga re-integrata con l’indicazione (già presente, in verità, nel testo sottoposto al Consiglio di Stato ai fini dell’emissione del parere del 21 marzo 2016 e costituito dalla data del passaggio in giudicato della sentenza di condanna) della decorrenza del termine per ottenere la “riabilitazione” a partecipare alle gare pubbliche (così come attualmente formulata, infatti, la norma è priva del dies a quo per il calcolo di un elemento così fondamentale) di cui al c. 1 dell’art. 80).

Altro snodo critico, che dovrà essere sciolto in sede di prima revisione del Codice (non apparendo coerente con la gerarchia delle fonti lasciare tale compito alla soft law) è quello della estensione delle cause di esclusione previste dal comma 1 dell’art. 80 del Codice, laddove esse colpiscano solo il subappaltatore.

Al di là dello spirito della norma – che è chiaro laddove essa sia oggetto di lettura sistematica nell’ambito dell’intero corpus dell’art. 80 e dello stesso Codice – il primo comma dell’art. 80 sembra, infatti, accomunare con la sanzione dell’esclusione, sia il concorrente, sia il subappaltatore, laddove ricorrano – anche solo con riguardo a quest’ultimo – le cause di esclusione previste dalla norma.

Tale previsione non è contenuta né nella Legge delega, né nell’art. 57 della Direttiva appalti e, dunque, è facile immagine una maldestra scrittura che, in realtà, sottenda che solo all’effettivo reo debba applicarsi la sanzione dell’esclusione; in ogni caso, tenuto conto del generale inasprimento delle misure di controllo della legalità, è quanto mai opportuno un formale chiarimento sulla portata della norma.

5. Conclusioni

Per quanto si aspettasse un intervento, l’ANAC, con il primo insieme di norme integrative, pubblicato per la consultazione il 29 aprile 2016, non si è ancora occupata dell’art. 80. Ciò può essere il segno della oggettiva difficoltà di riunire e sistematizzare la giurisprudenza sinora elaborata in materia, in uno con la prassi della stessa ANAC.

Con linee guida l’ANAC, da adottarsi entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente codice, può precisare, al fine di garantire omogeneità di prassi da parte delle stazioni appaltanti, quali mezzi di prova considerare adeguati per la dimostrazione delle circostanze di esclusione di cui al comma 5, lettera c), ovvero quali carenze nell’esecuzione di un procedente contratto di appalto siano significative ai fini del medesimo comma 5, lettera c).

Forse tale comportamento è da porsi in relazione con quanto riferito nel parere del Consiglio di Stato del 21 marzo 2016, laddove – commentando proprio il comma 13 dell’art. 80 il Collegio ha rilevato che “… va riponderato il comma 13, secondo cui l’ANAC può emanare linee-guida al fine di “precisare (…) quali mezzi di prova considerare adeguati per la dimostrazione delle circostanze di esclusione di cui al comma 4, lettera c)” (si tratta delle circostanze rivelatrici dei necessari requisiti di integrità o affidabilità in capo al concorrente).

In particolare, dovrebbe essere specificato che tali linee guida si limitano ad indicazioni meramente esemplificative e che esse non possono in alcun modo limitare gli apprezzamenti discrezionali da parte delle stazioni appaltanti, ovvero fornire una sorta di ‘catalogo chiuso’ di cause di esclusione (catalogo che, secondo l’id quod plerumque accidit, si presterebbe agevolmente a comportamenti elusivi ed opportunistici, sortendo un effetto di fatto opposto rispetto a quello auspicato). A tal fine, dopo le parole “da parte delle stazioni appaltanti” si potrebbero inserire le seguenti: “e comunque in via non esaustiva”…”.

Potrebbe altresì risultare utile ridefinire il format di dichiarazione sull’insussistenza delle cause di esclusione ex art. 80, coerentemente con quanto definito in ordine ai soggetti da sottoporre a verifica. Modifica questa che, da un lato, potrebbe essere utile oltre che a noi per l’individuazione/riscontro sul CCIAA di detti soggetti sia all’operatore economico al fine del rilascio di una più “consapevole” dichiarazione sull’insussistenza nei confronti dei soggetti interessati (eventualmente indicati nella dichiarazione stessa) di cause di esclusione, dall’altro lato, potrebbe risultare necessaria per l’individuazione di soggetti non previsti dal certificato della CCIAA, quali i componenti dell’Organismo di Vigilanza (se presente) qualora si accedesse alla tesi che i componenti dello stesso siano soggetti da sottoporre a verifica[2].

Per altro verso, va dato atto al legislatore che la norma in commento è una delle più difficili da codificare, proprio in quanto norma a carattere generale, nella quale devono armoniosamente bilanciarsi tutti i principi enunciati nella Legge delega (in particolare, quasi a fronteggiarsi l’un l’altro, il principio di legalità e quello di massima partecipazione) e quelli – ancor più ampi – di diretta derivazione comunitaria. Ne è emersa, tutto sommato, una buona versione “di compromesso”, migliorabile in sede di revisione del Codice ed attraverso gli interventi di soft law.

La copiosissima richiesta di intervento a mezzo dei certi ma futuri decreti correttivi del nuovo Codice, già delegati al governo, come già invero era stato ordito per la correzione in itinere del codice del 2006, avanzata dalla Sezione consultiva del Consiglio di Stato non lascia adito circa la innegabile esigenza, sin da subito evidente attesa l’entrata in vigore della norma, che sia compito immantinente degli operatori del diritto prodigarsi nel tentativo di ricondurre ad unità un tessuto normativo che ad oggi è inevitabilmente intriso di disarmonie sistematiche.


[1] Appunti sull’applicazione dell’art. 80 DLgs. 50/2016 – F. Turaccio (www.appaltiecontratti.it 27/5/2016)

[2] Appunti sull’applicazione dell’art. 80 DLgs. 50/2016 – F. Turaccio (www.appaltiecontratti.it 27/5/2016)

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Questo articolo è stato scritto da...

Avv. Emanuela Pellicciotti
Esperta in infrastrutture e contratti pubblici
Avv. Giuseppe Totino
Esperto in contratti pubblici
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