Sending
Questo articolo è valutato
0 (0 votes)

1. Il contesto normativo

Come è noto, l’art. 80, comma 5, del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (il “Codice”) reca l’elenco dei c.d. “requisiti di idoneità morale” che devono possedere i concorrenti e la cui mancanza costituisce “motivo di esclusione”. Tra i quali vi è la causa di esclusione di cui all’art. 80, c. 5, lett. c), consistente nel “grave illecito professionale”.

La disposizione prevede testualmente che la stazione appaltante (la “S.A.”) esclude l’operatore economico quando dimostri con mezzi adeguati che quest’ultimo si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità.

La norma contiene una elencazione esemplificativa della gamma di illeciti che rientrano in detta fattispecie, ed in particolare:

  • o di concessione che ne hanno causato la risoluzione anticipata, non contestata in giudizio, ovvero confermata all’esito di un giudizio, ovvero hanno dato luogo ad una condanna al risarcimento del danno o ad altre sanzioni;
  • il tentativo di influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante o di ottenere informazioni riservate ai fini di proprio vantaggio;
  • il fornire, anche per negligenza, informazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione,
  • ovvero l’omettere le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione.

L’elencazione dei gravi illeciti professionali contenuta nel citato art. 80, comma 5, lett. c) non è tassativa ma solo esemplificativa in quanto mira a tutelare il vincolo fiduciario che deve sussistere tra Amministrazione e operatore economico, consentendo quindi di attribuire rilevanza a ogni tipologia di illecito che per la sua gravità sia in grado di minare l’integrità morale e professionale del secondo.

La S.A. deve, quindi, valutare, ai fini dell’eventuale esclusione del concorrente, i comportamenti gravi e significativi riscontrati nell’esecuzione di precedenti contratti, anche stipulati con altre amministrazioni, che abbiano comportato, alternativamente o cumulativamente:

a) la risoluzione anticipata non contestata in giudizio, ovvero confermata con provvedimento esecutivo all’esito di un giudizio;

b) la condanna al risarcimento del danno o ad altre sanzioni quali l’applicazione di penali o l’escussione delle garanzie ai sensi degli artt. 103 e 104 del Codice o della previgente disciplina.

Da detta disposizione scaturiscono diverse questioni problematiche, atteso che la norma sembra precludere la possibilità per la S.A. di comminare l’esclusione dalla gara allorquando l’operatore abbia contestato in giudizio la risoluzione contrattuale. Dubbi sussistono anche sulla commisurazione dell’entità delle “altre sanzioni” eventualmente applicate a fronte di un inadempimento di un obbligo contrattuale e sui conseguenti oneri dichiarativi.  

2. I profili oggetto di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE: la grave carenza nell’esecuzione di un precedente contratto

In ordine all’interpretazione dell’art. 80, comma 5, del Codice pende più di un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’UE.

Il TAR Napoli, con l’Ordinanza del 13 dicembre 2017, n. 5893 ha rimesso alla predetta Corte la questione pregiudiziale in ordine alla disposizione di cui all’art. 80 del Codice, laddove la stessa sembrerebbe precludere alla stazione appaltante di valutare un precedente inadempimento contrattuale anche in caso di contestazione giudiziale della risoluzione.

Parte della giurisprudenza[1], infatti, ha ritenuto che, laddove la gara rientri nel campo di applicazione del Codice, venga a configurarsi un ineludibile obbligo legale di ammissione della concorrente, qualora la anticipata risoluzione del contratto sia stata contestata in giudizio.

Difatti, la nuova norma (a differenza della previgente similare disciplina dettata dall’art. 38 primo comma lett. f) del D.Lgs. 163/2006) renderebbe irrilevante – ai fini della esclusione degli operatori economici dalle procedure di gara indette dalla P.A. – la risoluzione anticipata di un precedente contratto di appalto o di concessione ancora “sub judice” (e finanche in presenza di una pronuncia cautelare negativa da parte dell’adito Tribunale Civile).

Il TAR Napoli, pur considerando l’apprezzabile fine di limitare la discrezionalità delle S.A. in ordine alla partecipazione degli operatori economici che hanno evidenziato significative carenze nell’esecuzione di precedenti contratti di appalto, ha osservato che così si realizzerebbe una tipizzazione della particolare fattispecie dell’inadempimento contrattuale, per la quale è richiesta la risoluzione con un accertamento incontestato tra le parti[2], ovvero una condanna al pagamento del risarcimento del danno o altre sanzioni.

Sennonché in tal modo si priverebbe di effettività la causa di esclusione facoltativa, in quanto il meccanismo disegnato precluderebbe ogni possibilità di valutare l’affidabilità del concorrente, rimettendola all’esito del giudizio civile sulla risoluzione, che nella maggior parte dei casi interverrà, per la necessaria durata di quella lite, in un momento in cui si sono prodotti effetti irreversibili, qualora la gara sia stata in ipotesi aggiudicata proprio al concorrente che per effetto della decisione sulla risoluzione avrebbe dovuto essere escluso.

Sicché il TAR Napoli con la richiamata Ordinanza ha chiesto alla Corte di Giustizia di valutare se i principi comunitari ostino all’applicazione di una normativa nazionale, quale quella italiana derivante dall’art. 80 comma 5 lettera c) del Codice, secondo la quale la contestazione in giudizio di significative carenze evidenziate nell’esecuzione di un pregresso appalto, che hanno condotto alla risoluzione anticipata di un precedente contratto di appalto, preclude ogni valutazione alla stazione appaltante circa l’affidabilità del concorrente, sino alla definitiva statuizione del giudizio civile, e senza che la ditta abbia dimostrato la adozione delle misure di self cleaning volte a porre rimedio alle violazioni e ad evitare la loro reiterazione.

Successivamente anche il Consiglio di Stato ha rimesso alla Corte di Giustizia una serie di questioni pregiudiziali concernenti la medesima interpretazione della norma. Più in particolare, con le Ordinanze della Sez. V, 3 maggio 2018, n. 2639 e 23 agosto 2018 n. 5033 è stato chiesto alla Corte di valutare se il diritto dell’Unione europea e, precisamente, l’art. 57 par. 4 della Direttiva 2014/24/UE sugli appalti pubblici, unitamente al Considerando 101 della medesima Direttiva e al principio di proporzionalità e di parità di trattamento ostano ad una normativa nazionale, come quella in esame, che, definita quale causa di esclusione obbligatoria di un operatore economico il “grave illecito professionale”, stabilisce che, nel caso in cui l’illecito professionale abbia causato la risoluzione anticipata di un contratto d’appalto, l’operatore può essere escluso solo se la risoluzione non è contestata o è confermata all’esito di un giudizio.

Secondo il Collegio, l’art. 57, par. 4 della Direttiva 2014/24/UE stabilisce che le amministrazioni appaltanti possono escludere gli operatori economici “se l’amministrazione aggiudicatrice può dimostrare con mezzi adeguati che l’operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, il che rende dubbia la sua integrità”.

Dalla lettura della disposizione e del Considerando 101 della richiamata Direttiva risulta chiaro che il legislatore europeo ha ritenuto di consentire l’esclusione dell’operatore economico se la stazione appaltante è in condizione di dimostrare la sussistenza di un grave illecito professionale “anche prima che sia adottata una decisione definitiva e vincolante sulla presenza di motivi di esclusione obbligatori”.

In questo senso, del resto, ben si comprende il richiamo alla responsabilità dell’amministrazione per una sua eventuale decisione erronea. Il legislatore italiano, al contrario, ha stabilito che l’errore professionale, passibile di risoluzione anticipata (per definizione “grave” ex art. 1455 Cod. civ. nonché ex art. 108, comma 3, del Codice) non comporta l’esclusione dell’operatore in caso di contestazione in giudizio. La conseguenza è la necessaria subordinazione dell’azione amministrativa agli esiti del giudizio; ciò è astrattamente possibile, essendo comprensibile che la scelta dell’amministrazione sia vincolata agli esiti di un giudizio, ma è incompatibile con i tempi dell’azione amministrativa.

La ragione è evidente: risolto il contratto per grave inadempimento dell’operatore economico, l’amministrazione dovrà indire una nuova procedura di gara per concludere un nuovo contratto; all’operatore economico inadempiente sarà sufficiente contestare in giudizio la risoluzione per ottenere l’ingresso nella nuova procedura, dovendo l’amministrazione attendere l’esito del giudizio per poter procedere legittimamente alla sua esclusione. Il che è destinato a ripetersi costantemente, con la conseguenza per l’amministrazione di trovarsi a dover valutare in maniera imparziale un operatore economico che aveva già giudicato inaffidabile tanto da aver risolto il precedente contratto con lo stesso stipulato. Di tal ché l’amministrazione appaltante non può, in questo modo, assumere la propria responsabilità nella decisione di escludere l’operatore, dovendo attendere, comunque, l’esito del giudizio.

Il Consiglio di stato ha, pertanto, osservato che se obiettivo del legislatore nazionale è quello di alleggerire l’onere probatorio a carico dell’amministrazione per rendere più efficiente l’azione amministrativa attraverso l’elencazione di casi in cui è possibile escludere l’operatore economico (come in Cons. Stato, Sez. V, 2 marzo 2018 n. 1299), lo strumento non è adeguato poiché l’azione amministrativa è arrestata dall’instaurazione di altro giudizio in cui è contestato il grave illecito professionale; se l’obiettivo è garantire che l’operatore economico sia definitivamente escluso dalla procedura di gara solo quando il grave illecito professionale è confermato all’esito di un giudizio, è sufficiente imporre all’amministrazione di fornire adeguata motivazione dell’esclusione, lasciando al giudice amministrativo di sindacare la ragionevolezza.

La norma interna fa dipendere dunque dalla scelta dell’operatore economico – di impugnare o meno la risoluzione in sede giurisdizionale – la decisione dell’amministrazione; a fronte di “gravi illeciti professionali” identici, allora, un operatore sarà escluso in quanto non ha proposto impugnazione giurisdizionale della risoluzione e l’altro, per averla proposta, non potrà essere escluso.

Dacché ne discende che, a fronte dell’orientamento giurisprudenziale dei Giudici di Palazzo Spada ed in attesa della pronuncia della Corte UE, la mera contestazione in giudizio di una risoluzione contrattuale non sarà di per sé sufficiente né ad escludere il correlato obbligo dichiarativo[3], né un eventuale provvedimento di esclusione da una procedura.

Non v’è dubbio, infatti, che ciò che, tramite i rinvii, è stato radicalmente messo in discussione è il meccanismo di tipo presuntivo che ancora la tipizzata fattispecie escludente alla mancata contestazione in giudizio della risoluzione contrattuale. Ne consegue che a un’impresa non basterà aver contestato in giudizio la risoluzione contrattuale subìta per porsi completamente al riparo, per tutta la durata – per giunta, prevedibilmente consistente – del processo, dal rischio di esclusioni da gare d’appalto indotte dalla relativa vicenda risolutoria.

Il che verosimilmente potrà altresì comportare il rischio che le S.A. considerino come pressoché automatica la causa di esclusione in questione, allorquando sia intervenuta la risoluzione di un precedente contratto per grave inadempimento dell’appaltatore e, dunque, a prescindere dalla contestazione in giudizio di una tale misura. Il che, in assenza di un eventuale intervento correttivo del legislatore, comporterà necessariamente la definizione a livello pretorio di una casistica che dovrà pur sempre fare i conti con l’intangibile sfera della discrezionalità amministrativa di cui godono in materia le S.A., fatti salvi, sempre, i limiti della manifesta irragionevolezza e, più in generale, dell’eccesso di potere nelle sue ulteriori declinazioni. La S.A. resta, infatti, pur sempre vincolata, nell’an dell’esercizio della discrezionalità di cui gode, alla effettiva sussistenza di fatti connotati da una significativa, palese ed oggettiva gravità, tali, cioè, da poter incidere sull’affidabilità della persona del contraente privato.

Certo è che laddove si discuta di una risoluzione per inadempimento che si trovi sub iudice, la Stazione Appaltante, in applicazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalità, potrà procedere all’esclusione, allorquando sia in grado di fornire, con i necessari supporti probatori, una motivazione, per così dire, rafforzata ed adeguata sulla effettività, gravità e inescusabilità degli inadempimenti dell’impresa e finanche sulla eventuale pretestuosità delle contestazioni da questa sollevate in giudizio avverso la misura risolutoria. Il tutto fermo restando che anche casi ripetuti di lievi irregolarità possono far nascere dubbi sull’affidabilità di un operatore economico che potrebbero giustificarne l’esclusione (si veda in tal senso la Direttiva 2014/24/UE).

Per il vero su una simile lunghezza d’onda, una altrettanto recente sentenza del Consiglio di Stato[4] aveva già osservato che il pregresso inadempimento, anche se non abbia prodotto gli effetti risolutivi, risarcitori o sanzionatori tipizzati dal legislatore, può rilevare comunque a fini escludenti qualora assurga al rango di “grave illecito professionale”, tale da rendere dubbia l’integrità e l’affidabilità dell’operatore economico, e deve pertanto ritenersi rimessa alla discrezionalità della S.A. la valutazione della portata di “pregressi inadempimenti che non abbiano (o non abbiano ancora) prodotto” simili effetti specifici, fermo restando che in tale eventualità i correlativi oneri di prova e motivazione incombenti sull’Amministrazione sono ben più rigorosi e impegnativi rispetto a quelli operanti in presenza delle particolari ipotesi esemplificate dal testo di legge.

3. Le “altre sanzioni” indice di significative carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto

L’art. 80 comma 5, lett. c), del Codice, come si è anticipato, richiede che l’illecito professionale sia grave e tale da rendere dubbia l’integrità o l’affidabilità del concorrente. Tra le significative carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto rientrano anche le c.d. “altre sanzioni”.

A tale proposito, nel Parere del Consiglio di Stato del 26 ottobre 2016 n. 2286, reso in ordine alle Linee Guida ANAC n. 6/2016, è stato chiarito che l’art. 80, c. 5, lett. c), in combinato con il c. 13, del Codice, demanda alle linee guida il solo compito di individuare la casistica delle significative carenze nell’esecuzione di precedenti contratti[5]; ma indica già in modo compiuto e tassativo un indice di riconoscimento delle “significative carenze”, ancorato agli effetti giuridici che si sono prodotti, e che sono i seguenti: “risoluzione anticipata del contratto, non contestata in giudizio, ovvero confermata all’esito di un giudizio, ovvero una condanna al risarcimento del danno o l’applicazione di altre sanzioni”. Possono essere considerate come “altre sanzioni”, l’incameramento delle garanzie di esecuzione o l’applicazione di penali, fermo che la sola applicazione di una clausola penale non è di per sé sintomo di grave illecito professionale, specie nel caso di applicazione di penali in misura modesta.

Le Linee Guida ANAC  n. 6[6] come aggiornate nel corso del 2017, nel fornire l’esemplificazione dei mezzi di prova adeguati, hanno individuato come rilevanti i provvedimenti di applicazione delle penali di importo superiore, singolarmente o cumulativamente con riferimento al medesimo contratto, all’1% dell’importo del contratto.

Sul punto la giurisprudenza amministrativa ha di recente statuito che la minima rilevanza economica della sanzione (di per sé inferiore all’1% del valore annuo della commessa) risulta essere tale da non poter assumere alcuna valenza ai sensi dell’art. 80, comma 5, d.lgs. n. 50/2016 al fine di poter costituire un pregiudizio all’acquisizione di ulteriori commesse pubbliche. Con la conseguenza che vi è un effettivo dubbio sulla portata dell’omissione dichiarativa in concreto manifestatasi che meglio avrebbe potuto risolversi con l’applicazione del principio del favor partecipationis, piuttosto che con il provvedimento di esclusione concretamente irrogato (in tal senso T.A.R. Puglia, Bari, sez. I, 20 settembre 2018, n. 1232).

La giurisprudenza non ha mancato per altro verso di valorizzare la diversa valenza del contenuto pattizio di una transazione nella quale sia stato convenuto un obbligo risarcitorio e una penale. Infatti in tale ambito, essi non costituiscono espressione di un potere giurisdizionale o amministrativo ma, piuttosto, la regolazione in via consensuale della sorte del rapporto, per cui il risarcimento del danno non ha fonte in una “condanna” che sia stata comminata, né la penale può dirsi autoritativamente inflitta. Ciò fa perdere ai rilevati elementi la pregnanza che assumono ai fini che qui interessano, stante la volontaria accettazione dei relativi obblighi (che l’Impresa potrebbe aver assunto valutando il rapporto costi/benefici della controversia instaurabile). Da ciò discenderebbe l’impossibilità di far derivare, dall’atto transattivo, la considerazione che ricorrano gli estremi di una responsabilità dell’impresa, causa di esclusione (cfr. T.A.R. Napoli, Sez. III, 5 ottobre 2017, n. 4677).

4. Gli oneri dichiarativi di cui all’art. 80 comma 5 e l’impossibilità e l’inopportunità di filtrarne la rilevanza a priori

In ordine agli oneri dichiarativi incombenti sull’operatore economico in caso di fattispecie rilevanti ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. c) del Codice, la giurisprudenza[7] ha, a più riprese, ribadito come in base a tale norma sia stato consacrato nel nostro ordinamento dei contratti pubblici un vero e proprio principio del clare loqui – di per sé costituente espressione particolare del più generale canone della buona fede precontrattuale – in forza del quale l’operatore economico che concorra in una procedura di evidenza pubblica è tenuto a dichiarare situazioni ed eventi potenzialmente rilevanti ai fini del riscontro dell’effettivo possesso dei requisiti di ordine generale di partecipazione alla stessa.

Da tale assunto discende che non è configurabile in capo all’impresa alcun filtro valutativo o facoltà di scegliere i fatti da dichiarare, sussistendo l’obbligo della onnicomprensività della dichiarazione, in modo da permettere alla stazione appaltante di espletare, con piena cognizione di causa, le valutazioni di competenza[8].

Sussiste l’obbligo di onnicomprensività della dichiarazione in vista dell’apprezzamento di spettanza esclusiva della stazione appaltante; la gravità dell’evento, infatti, è ponderata dalla stazione appaltante, sicché l’operatore economico è tenuto a dichiarare lo stesso ed a rimettersi alla valutazione della stazione appaltante. Ne consegue che la mancata esternazione di un evento, anche se poi ritenuto non grave, comporta di norma, l’esclusione dalla gara specifica (Cons. Stato, Sez. III – sentenza 13 giugno 2018, n. 3628).

La latitudine di tale obbligo dichiarativo, tuttavia, può subire un’attenuazione nella ipotesi limite in cui possa – con sufficiente certezza ed a priori – escludersi la sussistenza di una fattispecie rilevante ai fini dell’applicazione della disposizione in parola. Si tratta ovviamente di una scelta che non pone al riparo l’operatore economico da eventuali contestazioni e/o strumentalizzazioni di sorta anche da parte di terzi.

Il Giudice amministrativo, in una vicenda in cui si discuteva della mancata esclusione per assenza di dichiarazione in ordine all’applicazione di una penale di lieve entità, ha statuito, in applicazione di detto principio-limite, che non è ravvisabile un grave illecito professionale tale da metterne in discussione l’affidabilità e l’integrità del concorrente, allorquando non venga in rilievo una risoluzione del contratto ma la sola applicazione di penali di modesta entità. Con la conseguenza che, secondo il Collegio, il concorrente non è sanzionabile con l’esclusione per aver omesso indicazioni rilevanti ex art. 80, co. 5 lett. c) del Codice (T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. I, 6 aprile 2018, n. 712; id. 22 maggio 2017, n. 1118).

Per altro verso, il Consiglio di Stato[9] ha di recente evidenziato come, da una lettura sistematica del disposto di cui al co. 5, lett. c) ed f-ter) nonché di cui al co. 12 dell’art. 80, si evince che:

  1. la S.A. deve escludere il concorrente che, nell’ambito della medesima procedura di gara, abbia reso dichiarazioni false o fuorvianti idonee ad influenzarne l’esito ovvero abbia omesso di rendere le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura (ai sensi di quanto disposto dalla lett. c), co. 5, dell’art. 80);
  2. e che contestualmente la S.A. deve anche procedere a segnalare l’accaduto all’ANAC che, all’esito dell’autonomo procedimento amministrativo, al ricorrere delle condizioni di cui al co. 12 dell’art. 80, valuterà se disporre o meno l’iscrizione del concorrente nel casellario informatico, in tal modo precludendogli la partecipazione alle gare per il periodo di efficacia dell’iscrizione (massimo per due anni);
  3. ed ancora che, nelle successive procedure di gara, l’esclusione del concorrente per avere reso – con dolo o colpa grave – falsa dichiarazione ovvero per avere prodotto falsa documentazione in una precedente gara, può essere disposta dalla S.A., solo se vi sia stata iscrizione nel casellario informatico dell’Autorità e per il periodo di efficacia della predetta iscrizione, ai sensi dell’articolo 80, comma 5, lettera f-ter) e comma 12 del Codice.

Con la conseguenza che, al di fuori di quest’ultima ipotesi rimarrebbe preclusa alle S.A. l’autonoma valutazione della condotta del concorrente che abbia reso dichiarazioni false o prodotto falsa documentazione in una pregressa procedura. Rimane, tuttavia, salva la possibilità di escludere il concorrente nel caso in cui risulti perdurare la circostanza escludente a cui si riferiva la falsità originaria (ad esempio, nel caso della sussistenza della medesima situazione di irregolarità fiscale e/o contributiva, la cui assenza è stata falsamente dichiarata).

Applicando tali principi, il Consiglio di Stato ha così statuito che una precedente esclusione per irregolarità fiscale non possa assumere rilievo, quale motivo di esclusione, in termini di grave illecito professionale, e quindi circostanza da dichiarare, atteso che, diversamente opinando, si realizzerebbe una indefinita protrazione di efficacia, “a strascico”, delle violazioni relative all’obbligo di pagamento di debiti per imposte e tasse, laddove l’art. 80, comma 4, del Codice riconosce efficacia escludente alla partecipazione alla gara solamente sino al momento in cui il concorrente non provveda alla regolarizzazione della propria posizione, od anche ottenga la rateizzazione del debito tributario e sia in regola con i relativi pagamenti.

La disposizione  di cui al comma 5, lettera c), dell’art. 80 del Codice, per quanto norma di non agevole esegesi stante la disomogeneità delle fattispecie contemplate, sembra comunque permeata da una nozione di attualità dell’illecito, nel senso di annettere rilievo ai soli fatti commessi in un arco temporale tale da fare ritenere effettivamente vulnerato il rapporto fiduciario con il concorrente.

In un altro recente caso [10], il Consiglio di Stato si è occupato della portata interpretativa dell’ultimo periodo della disposizione di cui all’art. 80, comma 5, lett. c) del Codice, che, come anzidetto, tra le fattispecie escludenti rilevanti riconduce altresì la condotta dell’operatore che si manifesti nella mancata rappresentazione, alla S.A., di «informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione».

Il Collegio, in proposito, ha rammentato come siffatta previsione costituisca una sorta di clausola di chiusura, che impone ai concorrenti di portare la S.A. a conoscenza di tutte le informazioni relative alle proprie precedenti vicende professionali che possano astrattamente essere ricondotte alla categoria del «grave illecito professionale. Di tal ché il concorrente può incorrere in un grave errore professionale endoprocedurale se omette di ottemperare a tale onere.

Sulla scorta di tali premesse il Collegio, nel merito dell’omissione dichiarativa posta in essere nella fattispecie dal concorrente, ha ritenuto rilevanti le vicende – di rilevanza penale per le quali erano state pronunciate sentenze di condanna ovvero erano in corso di svolgimento indagini con l’adozione di provvedimenti restrittivi della libertà personale nei confronti dei vertici delle società partecipanti al raggruppamento – da questi erroneamente non rappresentate alla S.A.. Trattandosi senza dubbio di circostanze che necessariamente devono «essere sottoposte all’attenzione della stazione appaltante per consentirle un più sicuro giudizio sulla integrità ed affidabilità del raggruppamento». Di tal ché  «l’omessa dichiarazione di informazioni rilevanti (…) costituisce “grave errore professionale” che conduce all’espulsione del concorrente solo se la stazione appaltante – e non altri – lo reputi idoneo a compromettere l’affidabilità e l’integrità dell’operatore».

Ed ancora da ultimo il Consiglio di Stato[11], in ordine ad una fattispecie regolata dal previdente Codice di cui a D.Lgs. n. 163/2006, ha affermato che sussiste in capo alla S.A. un potere di apprezzamento discrezionale in ordine alla sussistenza dei requisiti di “integrità o affidabilità” dei concorrenti: costoro, al fine di rendere possibile il corretto esercizio di tale potere, sono tenuti a dichiarare qualunque circostanza che possa ragionevolmente avere influenza sul processo valutativo demandato all’Amministrazione. Da ciò discende che il concorrente è tenuto a dichiarare le significative carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto che ne hanno causato la risoluzione anticipata, rientrando nell’ambito dell’obbligo dichiarativo di cui si discute tutti gli eventi che, benché oggetto di contestazione ed ancora sub iudice, avessero dato corso ad azioni di risoluzione contrattuale ovvero ad azioni risarcitorie ad iniziativa del committente pubblico, in ragione della (valutata) commissione di gravi errori nell’esecuzione dell’attività professionale.

La tematica, infatti, esprime gli immanenti principi di lealtà e affidabilità e professionale dell’aspirante contraente che presiedono in genere ai contratti e in specifico modo – per ragioni inerenti alle finalità pubbliche dell’appalto e dunque a tutela di economia e qualità della realizzazione – alla formazione dei contratti pubblici e agli inerenti rapporti con la stazione appaltante. Non si rilevano validi motivi per non effettuare una tale dichiarazione, posto che spetta comunque all’amministrazione la valutazione dell’errore grave che può essere accertato con qualunque mezzo di prova.

Il concorrente è perciò tenuto a segnalare tutti i fatti della propria vita professionale potenzialmente rilevanti per il giudizio della stazione appaltante in ordine alla sua affidabilità quale futuro contraente, a prescindere da considerazioni su fondatezza, gravità e pertinenza di tali episodi.

È stato, pertanto, ritenuto che il mancato cenno alle risoluzioni contrattuali eventualmente disposte è una ragione autonoma per disporre l’esclusione dalla procedura, poiché il combinato disposto dell’art. 38, comma 1, lett. d) e dell’art. 38, comma 2, conduce alla obbligatorietà per i concorrenti di dichiarare a pena di esclusione la sussistenza dei precedenti professionali dai quali la stazione appaltante può discrezionalmente desumere l’inaffidabilità[12]. In questa prospettiva, il Collegio, non ha mancato di statuire che non rileva la gravità dell’errore commesso: non si può soppesare la rilevanza e la qualità di un fatto che era onere del concorrente rappresentare e che è stato invece espressamente celato. Una dichiarazione non veridica è di per sé causa di esclusione. La circostanza che si tratti di dichiarazione non veritiera (e non di omessa dichiarazione) osta al soccorso istruttorio, come emerge con chiarezza dall’art. 38, comma 2-bis, d.lgs. n. 163 del 2006, atteso che il soccorso istruttorio è utilizzabile solo in caso di mancanza, incompletezza o irregolarità delle dichiarazioni e non già a fronte di dichiarazioni non veritiere (cfr., da ultimo, Consiglio di Stato, sez. V, 16 febbraio 2017, n. 712).

La dichiarazione mendace su di un requisito di importanza vitale non può che comportare l’esclusione della concorrente, la quale, celando un importante precedente sui gravi illeciti professionali, si è così posta al di fuori della disciplina della gara, non consentendo alla stazione appaltante potesse svolgere un vaglio adeguato e a tutto campo.

5. Conclusioni

Ancora una volta la tecnica normativa prescelta per il recepimento della Direttiva europea ha comportato il coinvolgimento della Corte di Giustizia a cui, come si è visto, è ora rimesso il compito di valutare se il recepimento nazionale de qua sia coerente e conforme alla ratio della fattispecie di cui all’art. 57, par. 4, Direttiva 2014/24/UE, come esplicitate dal Considerando 101 della stessa. Le amministrazioni secondo le fonti normative europee dovrebbero mantenere infatti la facoltà di poter escludere coloro i quali in occasione dell’esecuzione di precedenti appalti hanno messo in evidenza notevoli mancanze per quanto riguarda obblighi sostanziali, per esempio “mancata fornitura o esecuzione, carenze significative del prodotto o servizio fornito che lo rendono inutilizzabile per lo scopo previsto o comportamenti scorretti che danno adito a seri dubbi sull’affidabilità dell’operatore economico”. Il tutto secondo il monito che “nell’applicare motivi di esclusione facoltativi, le amministrazioni aggiudicatrici dovrebbero prestare particolare attenzione al principio di proporzionalità. Lievi irregolarità dovrebbero comportare l’esclusione di un operatore economico solo in circostanze eccezionali. Tuttavia, casi ripetuti di lievi irregolarità possono far nascere dubbi sull’affidabilità di un operatore economico che potrebbero giustificarne l’esclusione”.

Da un mero raffronto delle fattispecie tipizzate dall’art. 57, par. 4, della Direttiva 2014/24/UE e di quelle esemplificate dall’art. 80, comma 5, lett. c) del Codice – oggetto del controverso ampliamento ad opera delle Linee Guida n. 6 –  non v’è dubbio che nel recepimento nazionale sia stata effettuata un’addizione di fattispecie e finalità diverse.

Si tratta quindi di una querelle interpretativa che nel frattempo è destinata a non sopirsi affatto attesa la scelta prescelta dal legislatore nazionale nel pur (apprezzabile) tentativo di alleggerire l’onere probatorio della Stazione Appaltante e porre un limite alle fattispecie escludenti rilevanti  tramite il ricorso a fattispecie tipizzate in ordine alle quali opera un meccanismo di tipo presuntivo.

Sullo sfondo ad ogni buon conto continuerà a permanere la dubbia vincolatività della Linee Guida – non oggetto dei rinvii pregiudiziali – le quali, come noto, non si sono limitate all’indicazione dei mezzi di prova adeguati e delle carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto ma hanno ampliato l’elenco e la casistica degli illeciti professionali, individuando ulteriori ed ultronee ipotesi rispetto a quelle fissate dalla norma di recepimento nazionale (art. 80 c.c.p.) e dalla Direttiva 24/2014/UE. Si veda ad es. ai § 2.1. e 2.2 delle citate Linee Guida, laddove è contemplata la possibilità di elevare talune condanne penali non esecutive (diverse da quelle di per sé escludenti di cui al comma 1 dell’art. 80 e non contemplate nella lett. c) del comma 5) a grave illecito professionale.

Sicché il dibattito è destinato ad intensificarsi attesa la tecnica normativa prescelta e la dubbia scelta di lasciare ad ANAC la definizione di aspetti tutt’altro che accessori ed il conseguente rischio di travisare lo spirito finanche del Legislatore europeo.  


[1] T.A.R. Sicilia, 10 novembre 2017, n. 2548; T.A.R. Sicilia, 3 novembre 2017, n. 2511; T.A.R. Puglia, sez. III 18 luglio 2017, n. 828; T.A.R. Puglia, Lecce, sez. III, 22 dicembre 2016 n. 1935; T.A.R. Calabria, sez. I, 19 dicembre 2016, n. 1935; T.A.R. Puglia, sez. I, 30.12.2016, n. 1480, T.A.R. Bari n.828/2017, v Catanzaro n. 2522/2016, T.A.R. Lecce n. 1935/2016; T.A.R. Palermo 17 novembre 2017, n. 2511. Il Consiglio di Stato, nella sentenza sez. V, 27 aprile 2017, n. 1955, ha affermato il seguente principio di diritto: “l’art. 80, comma 5, lett. c), consente alle stazioni appaltanti di escludere i concorrenti ad una procedura di affidamento di contratti pubblici in presenza di «gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità», con la precisazione che in tali ipotesi rientrano, tra l’altro, «significative carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione anticipata», le quali siano alternativamente non siano contestate in giudizio dall’appaltatore privato o – per venire al caso che interessa nel presente giudizio – sia stata «confermata all’esito di un giudizio»”.

[2] T.A.R.  Campania, Napoli, sez. V, 12 ottobre 2017, n. 4781.

[3] Si segnala contra Cons. St., sez. v, 3 settembre 2018, n. 5136 , secondo cui “nelle gare di appalto grava sull’operatore economico l’obbligo di autocertificare nel DGUE tutti i fatti tipicamente sintomatici della mancanza di integrità od affidabilità (tra cui in particolare le significative carenze nell’esecuzione di un precedente contratto solo quando “hanno causato la risoluzione anticipata non contestata in giudizio, ovvero hanno dato luogo ad una condanna al risarcimento del danno o ad altre sanzioni”); con il corollario che non ha invece l’obbligo di dichiarare altre “notizie” e ciò perché queste non sono “astrattamente” – cioè secondo il modello legale astratto delineato dall’art. 80, comma 5, lett. c) del d.lgs. n. 50 del 2016 – idonee allo scopo. In particolare sussiste l’obbligo dell’operatore economico di auto-dichiarare soltanto le significative carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto che abbiano causato la risoluzione anticipata, non contestata in giudizio”.

[4] Cons. St., sez. V, 2 marzo 2018 n. 1299. In tal senso anche Cons. giust. amm. Sicilia, 30 aprile 2018, n. 252.

[5] E non di ampliarne la portata come sembrerebbe essere stato posto in essere.

[6] Sulla cogenza delle stesse si v. ad es. A Amore, Le cause di esclusione di cui all’art. 80 D.Lgs., n. 50/2016 tra Linee Guida dell’ANAC e principi di tassatività e legalità, in Urbanistica e Appalti, 6/2017, p. 763. Si veda altresì F. Cintioli, Il sindacato del giudice amministrativo sulle linee guida, sui pareri del c.d. precontenzioso e sulle raccomandazioni ANAC, in Il Diritto Processuale Amministrativo, fasc. 2, giugno 2017; e Miche di Donna, I Cartelli antitrust e l’esclusione dalla gara d’appalto al debutto del nuovo Codice, in Urbanistica e Appalti,4/2017, p. 554.

[7] Da ultimo TAR Puglia, Bari, Sez. I, 20 settembre 2018, n. 1232.

[8] Cons. St., sez. III, 5 settembre 2017, n. 4192 già conformi Cons. St., 11 aprile 2016, n. 1412 , Cons. St., 25 febbraio 2015, n. 943, Cass. 14 maggio 2013, n. 2610.

[9] Cons. St., sez. V, 13 settembre 2018, n. 5365.

[10] Cons. St., sez. V, 3 settembre 2018, n. 5142.

[11] Sez V, sentenza 24 settembre 2028 n. 5500, che, a sua volta, richiama i principi espressi dalla medesima sez. V sentenza 11 giugno 2018, n. 3592.

[12] Cons. St., sez. V, 16 febbraio 2017, n. 712.

Sending
Questo articolo è valutato
0 (0 votes)

Questo articolo è stato scritto da...

Avv. Adriana Presti
Avvocato amministrativista, esperto in contrattualistica pubblica
mediagraphic assistenza tecnico legale e soluzioni per l'innovazione p.a.