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Premesse

L’elaborazione giurisprudenziale ha fornito in questi anni un contributo decisivo alla definizione dell’istituto della concessione di servizi, disciplinata dall’articolo 30 del D.Lgs. 163/2006 («Codice dei Contratti Pubblici»), differenziandola nettamente da quello dell’appalto.

Il tema, fondamentale al fine della individuazione della relativa disciplina applicabile nonché ai fini della giurisdizione, è stato da ultimo affrontato dal Consiglio di Stato nella sentenza del 27 giugno scorso n. 3251 con specifico riguardo agli aspetti legati alla attestazione del possesso dei requisiti di partecipazione alle gare di cui all’articolo 38 del Codice.

Secondo i giudici amministrativi, in presenza di una concessione di servizi non trova diretta applicazione la disciplina relativa ai requisiti di partecipazione dettata dagli articoli 38 e 86 del suddetto Codice, applicabile, invece, solo nelle ipotesi in cui l’affidamento abbia ad oggetto un appalto pubblico.

1. La concessione di servizi

La concessione di servizi ha trovato recente definizione nella Direttiva europea, pubblicata lo scorso febbraio[1], quale «contratto a titolo oneroso stipulato per iscritto in virtù del quale una o più amministrazioni aggiudicatrici o uno o più enti aggiudicatori affidano la fornitura e la gestione di servizi diversi dall’esecuzione di lavori di cui alla lettera a) ad uno o più operatori economici, ove il corrispettivo consista unicamente nel diritto di gestire i servizi oggetto del contratto o in tale diritto accompagnato da un prezzo» (art. 5, lett. b).

Connotato fondamentale della concessione è «il trasferimento al concessionario di un rischio operativo legato alla gestione dei lavori o dei servizi, comprendente un rischio sul lato della domanda o sul lato dell’offerta, o entrambi. Si considera che il concessionario assuma il rischio operativo nel caso in cui, in condizioni operative normali, non sia garantito il recupero degli investimenti effettuati o dei costi sostenuti per la gestione dei lavori o dei servizi oggetto della concessione. La parte del rischio trasferita al concessionario comporta una reale esposizione alle fluttuazioni del mercato tale per cui ogni potenziale perdita stimata subita dal concessionario non sia puramente nominale o trascurabile;» (art. 5, lett. b cit.).

Sul piano nazionale, la fattispecie, disciplinata dall’art. 30 D.Lgs. 163/2006, per espressa previsione normativa sfugge all’applicazione integrale del Codice dei Contratti, salvo il rispetto dei noti principi di trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento, proporzionalità, par condicio nonché delle disposizioni espressamente richiamate dalla lex specialis di gara[2].

Tale disposizione ha recepito l’orientamento consolidato della Commissione Europea e della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, secondo cui non è possibile prescindere dalla garanzia di un adeguato livello di pubblicità anche nella aggiudicazione delle concessioni, le quali non possono essere affidate senza gara (v. Comunicazione interpretativa della Commissione sulle concessioni nel diritto comunitario del 12.4.2000; v. sentenza 13.10.2005, C-458/2003, Parking Brixen)

Al fine di individuare la disciplina cui assoggettare le relative procedure di affidamento, pertanto, la giurisprudenza ha interpretato caso per caso le singole disposizioni codicistiche, ritenendole applicabili alle concessioni di servizi solo nei limiti in cui le medesime disposizioni costituiscano estrinsecazione dei noti principi generali di trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento, proporzionalità [3].

Con specifico riguardo alla questione della diretta applicazione degli obblighi dichiarativi di cui all’articolo 38, prima del chiarimento fornito dal Consiglio di Stato, si sono succeduti orientamenti contrastanti.

2. Il caso di specie

Il caso portato all’attenzione del Tar Lazio riguardava una procedura negoziata avente ad oggetto l’affidamento della concessione del servizio di vendita di alimenti e bevande mediante distributori automatici.

La peculiarità della procedura risiedeva nel fatto che la lettera d’invito non richiedeva ai concorrenti di allegare l’apposita dichiarazione relativa alla insussistenza della cause di esclusione dalla gara, prevista dal Codice dei Contratti Pubblici.

Ritenendo illegittima la predetta clausola del bando, il concorrente risultato secondo classificato presentava ricorso al Tar Lazio, che, con sentenza n. 195/2012, tuttavia, ne respingeva le tesi ritenendo che la fattispecie in questione, in quanto concessione di servizi, fosse sottratta ai sensi dell’articolo 30 del Codice dei Contratti alla applicazione di alcune disposizioni del Codice medesimo (e in particolare a quella recante gli obblighi dichiarativi di cui all’articolo 38).

La sentenza veniva quindi impugnata dinanzi al Consiglio di Stato. Tra le principali censure mosse dal ricorrente si riportano in sintesi le seguenti:

a) l’articolo 38 del Codice, al primo comma, riferirebbe espressamente le cause di esclusione dalle gare sia alla concessione, sia agli appalti che ai subappalti, derogando così alla regola generale prevista dal citato articolo 30 per le sole concessioni di servizi, con conseguente esclusione del concorrente che omette di dichiararsi immune dalle cause di esclusione previste dalla legge (a conferma l’appellante menziona la sentenza del Consiglio di Stato, 21 maggio 2013, n. 2725 secondo cui il principio espresso all’articolo 38 cit. – in base al quale la partecipazione alle gare pubbliche richiede il possesso, in capo ai partecipanti, di requisiti di moralità – rappresenta un principio generale che trova applicazione anche in caso di concessione di servizi, trattandosi di un fondamentale principio di ordine pubblico economico che soddisfa l’esigenza di affidabilità e moralità del contraente);

b) nel caso di specie non sussisterebbe una concessione, la quale presuppone necessariamente la proprietà pubblica degli strumenti attraverso i quali il servizio viene erogato, ma un appalto in quanto il servizio viene erogato con macchinari di proprietà dello stesso prestatore, collocati per un certo periodo presso i locali dell’Amministrazione pubblica senza alcun onere manutentivo dei locali medesimi a carico del prestatore; con la conseguenza che il corrispettivo richiesto agli utenti compensa unicamente il costo di acquisto delle bevande e degli altri oneri sostenuti dalla società distributrice, ma non remunera alcuna attività manutentiva non richiesta al prestatore.

Per contro, le argomentazioni dei concorrente aggiudicatario, costituitosi in giudizio, fanno leva sulla piena legittimità degli atti di gara: il combinato disposto degli articoli 3 e 30 del Codice impedirebbe, invero, di applicare alla concessione di servizi l’articolo 38 e, conseguentemente, in mancanza di esplicita previsione di lex specialis, non sussisterebbe l’obbligo di presentare la dichiarazione sul possesso dei requisiti ivi prevista; e comunque, di per sé, la mancata presentazione non sarebbe sufficiente ad escludere un partecipantie alla gara, non essendo ciò previsto dall’articolo 38.

Al Consiglio di Stato viene chiesto pertanto di pronunciarsi sulla legittimità o meno della clausola di un bando di gara per l’affidamento di una concessione di servizi che non preveda alcun obbligo per i concorrenti di ottemperare alle dichiarazioni di cui all’articolo 38 più volte citato.

3. Le statuizioni del Consiglio di Stato

Il Supremo Giudice Amministrativo conferma la ricostruzione operata dal Tar, rigettando l’appello.

In primo luogo il Consiglio di Stato accerta se ricorra o meno nel caso di specie una concessione di servizi.

La risposta è affermativa: la gara ha riguardato l’affidamento della concessione dell’esercizio del servizio di vendita di alimenti e bevande mediante distributori automatici.

Ciò premesso, la sentenza ritiene che non vi sia luogo all’applicazione delle disposizioni del Codice dei Contratti pubblici, in base all’espressa previsione di cui all’articolo 30 dello stesso Codice (disciplinante appunto la fattispecie della concessione di servizi), a tenore del cui comma 1 «salvo quanto disposto nel presente articolo, le disposizioni del Codice non si applicano alle concessioni di servizi».

Non trova, quindi, diretta applicazione al caso di specie l’articolo 38. Conseguentemente l’Amministrazione aggiudicatrice non è incorsa in illegittimità se nell’affidare il servizio non ha richiesto ai concorrenti di fornire le dichiarazioni dell’articolo 38[4].

La sentenza in esame non nega certo la valenza generale e fondante propria del principio sotteso all’articolo 38: la regola secondo cui la partecipazione alle gare pubbliche richieda il possesso, in capo ai partecipanti, di alcuni inderogabili requisiti di moralità rappresenta, infatti, «un principio di carattere generale, che trova applicazione anche nelle gare dirette all’affidamento di concessioni di servizi, come fondamentale principio di ordine pubblico economico che soddisfa l’esigenza di avere un soggetto contraente con l’Amministrazione che sia affidabile sotto il profilo morale e degli altri requisiti richiesti».

Il risultato è, invece, quello di limitare – attraverso un approccio ermeneutico decisamente “sostanziale” – la portata applicativa del suddetto principio generale, statuendo che lo stesso attiene «al profilo sostanziale, alla necessità cioè che alla gara possa partecipare un soggetto effettivamente affidabile perché in possesso dei requisiti di moralità; ma non anche al profilo dichiarativo e formale, cioè alla sussistenza di un obbligo legale di dichiarare comunque l’assenza di cause ostative».

«Ciò che per la legge rileva come necessaria, in altri termini, è la successiva verifica in concreto – che deve comunque essere effettuata, senza elusioni, dalla stazione appaltante – dei requisiti di moralità, non anche la previsione da parte della lex specialis del corrispondente obbligo dichiarativo.» (Consiglio di Stato n. 3251/2014).

Da tale principio generale dunque va senza dubbio fatto discendere – anche con riguardo alla fattispecie della concessione di servizi (quindi sottoposta al solo rispetto dei principi fondamentali desumibili dal diritto comunitario e nazionale) – l’obbligo per la stazione appaltante di accertare la sussistenza in capo ai concorrenti dei requisiti di moralità di cui all’articolo 38 cit. (profilo sostanziale); dal medesimo principio non può invece farsi discendere – nel caso di concessioni – anche il diverso obbligo delle stazioni appaltanti di richiedere ai concorrenti il rispetto degli adempimenti dichiarativi di cui al citato articolo 38 (profilo formale) [5].

Sulla base di tali argomentazioni il Giudice amministrativo ritiene che del tutto legittimamente, laddove ricorra una concessione di servizi, le stazioni appaltanti possono:

a) inserire nella lex specialis una clausola che esoneri i partecipanti dall’obbligo di rendere la specifica dichiarazione richiesta dalla disposizione sopra menzionata, ovvero

b) inserire nella lex specialis una clausola che obblighi i partecipanti a rendere una dichiarazione meno ampia rispetto a quella prevista dall’articolo 38.

In altri termini in mancanza di esplicita previsione negli atti di gara, non sussiste l’obbligo per i concorrenti, aspiranti aggiudicatari della concessione, di presentare la dichiarazione sul possesso dei requisiti generali.

Se, tuttavia, non occorre la previsione da parte della lex specialis di tale obbligo dichiarativo, ciò che è invece necessaria, ai fini del rispetto del quadro normativo vigente, anche nel caso delle concessioni di servizi, è la successiva verifica in concreto dei requisiti di moralità, da cui comunque gli enti affidanti non possono prescindere.

In caso di concessione di servizi, la lex specialis può esonerare i partecipanti dall’obbligo di rendere la specifica dichiarazione richiesta dall’articolo 38 ovvero prevedere l’obbligo di rendere una dichiarazione meno ampia rispetto a quella prevista da tale disposizione.

A ben vedere quindi l’appello sarebbe stato suscettibile di accoglimento (con il conseguente annullamento degli atti di gara) solo laddove l’appellante fosse stato in grado di dimostrare la violazione del principio sotteso all’articolo 38 nella sua accezione sostanziale: ossia solo laddove fossero stati forniti al Giudice «elementi di prova atti a davvero dimostrare la mancanza sostanziale dei requisiti dell’articolo 38 da parte della SIDA, nonché l’omissione dell’accertamento degli stessi da parte dell’Amministrazione aggiudicatrice». Ciò che tuttavia – a giudizio del Consiglio di Stato – nel caso di specie non è avvenuto.

4. Le novità apportate all’articolo 38 dal D.L. 90/2014

La sentenza in commento pare condividere lo “spirito” dei più recenti orientamenti legislativi, volti sostanzialmente ad attenuare la portata dell’obbligo dichiarativo posto dall’articolo 38 del Codice dei Contratti Pubblici, sancendo, conformemente a quanto già affermato in giurisprudenza, la prevalenza del dato sostanziale rispetto a quello formale.  

Il riferimento è, in particolare, all’articolo 39 del Decreto Legge 24 giugno 2014 n. 90, rubricato «Semplificazione degli oneri formali nella partecipazione a procedure di affidamento di contratti pubblici», che ha modificato l’articolo 38 cit., stabilendo che i casi di irregolarità, incompletezza o mancanza delle autocertificazioni con cui i concorrenti attestano il possesso dei requisiti di ordine generale non possono essere sanzionati in modo automatico con l’esclusione degli stessi dalle gare[6]. In particolare, ai sensi della nuova norma, che è applicabile alle procedure di affidamento indette successivamente alla data di entrata in vigore del decreto (25.6.2014):

– per le omissioni/irregolarità dichiarative «essenziali» è ammessa la possibilità di sanatoria da parte dei concorrenti su invito della stazione appaltante,

– per le «irregolarità non essenziali» ovvero per i casi di «mancanza o incompletezza di dichiarazioni non indispensabili» non è neppure necessaria un’attività integrativa da parte del privato.
Anche tale ultimo intervento del Governo pertanto sembra indice di un deciso ridimensionamento dell’attività dichiarativa richiesta al privato: in definitiva ciò che assume rilevanza ai fini della partecipazione alle gare è l’effettiva sussistenza dei requisiti di ordine generale in capo ai concorrenti, e non, viceversa, la presenza o il contenuto delle dichiarazioni con cui i medesimi concorrenti attestano il possesso dei requisiti di partecipazione[7].

Il Consiglio di Stato, in linea con la tendenza legislativa attuale, anche europea, alla riduzione degli oneri procedimentali, conferma la prevalenza del dato sostanziale (l’effettiva sussistenza dei requisiti di ordine generale) sul dato formale (la presenza o il contenuto delle dichiarazioni con cui i concorrenti attestano il possesso dei requisiti di partecipazione).

Di qui la prevalenza, in generale, del dato sostanziale (la sussistenza dei requisiti di partecipazione) su quello formale (la completezza delle autodichiarazioni prodotte dai concorrenti in sede di gara), già affermata sotto vari profili da parte della giurisprudenza, in sede di interpretazione dell’articolo 38, in omaggio ai fondamentali canoni di proporzionalità e massima partecipazione alle gare e in stretta correlazione con il cd. principio di tassatività delle cause di esclusione[8].

Stando ai principi espressi dalla sentenza in esame, la nuova norma pare quindi destinata a trovare applicazione solo laddove si proceda all’affidamento di un appalto e non anche di una concessione, salvo che, in quest’ultimo caso, la lex specialis richiami espressamente gli obblighi dichiarativi previsti dall’articolo 38.

Alla luce di quanto sopra pare doversi interpretare anche il nuovo comma 1-ter dell’articolo 46 del Codice – anche esso introdotto dal citato Decreto 24 giugno 2014 n. 90 – ai sensi del quale «Le disposizioni di cui all’articolo 38, comma 2-bis, si applicano a ogni ipotesi di mancanza, incompletezza o irregolarità degli elementi e delle dichiarazioni, anche  di  soggetti  terzi, che devono essere prodotte dai concorrenti in  base  alla  legge, al bando o al disciplinare di gara.»: nel caso di concessione di servizi, in altri termini, le sanzioni di cui al citato comma 2-bis dell’articolo 38 trovano applicazione solo qualora l’obbligo delle dichiarazioni sia espressamente previsto dagli atti di gara.

5. Conclusioni

La sentenza in esame conferma il ricorso alla concessione di servizi come modulo procedimentale più flessibile, rimesso alla ampia discrezionalità della amministrazione e sottratto alla applicazione di alcune previsioni – quali, nel caso di specie, quelle relative agli obblighi dichiarativi di cui all’articolo 38 del Codice – che rappresentano un onere procedimentale spesso complesso e gravoso per stazioni appaltanti e concorrenti nonché una delle cause principali di contenzioso nell’ambito delle procedure ad evidenza pubblica. In quest’ottica le conclusioni del giudice amministrativo si conciliano pienamente con la recente tendenza del legislatore comunitario, che evidenzia la necessità di evitare eccessivi oneri procedimentali a carico degli operatori[9].

Tale flessibilità potrebbe essere destinata, tuttavia, a trovare un limite nell’attività dell’Autorità di settore (oggi A.N.AC.), in sede di predisposizione di bandi tipo nonché nella discrezionalità delle medesime stazioni appaltanti, le quali ben potrebbero prevedere – come sancito dal Consiglio di Stato nella sentenza qui in esame – obblighi dichiarativi a carico dei concorrenti, ai sensi dell’articolo 38, anche in presenza di un affidamento avente ad oggetto una concessione di servizi.

Non solo. L’attuale orientamento giurisprudenziale dovrà tener conto dei principi espressi nella Direttiva europea relativa alla aggiudicazione dei contratti di concessione, in corso di recepimento, ove si rimarca la estrema rilevanza dei requisiti di moralità e affidabilità nella aggiudicazione delle concessioni, lasciando quindi al legislatore nazionale l’individuazione dei mezzi necessari a garantire il possesso dei predetti requisiti da parte dei concorrenti: «E’ opportuno evitare l’aggiudicazione di concessioni a operatori economici che hanno partecipato a un’organizzazione criminale o che si sono resi colpevoli di corruzione, di frode a danno degli interessi finanziari dell’Unione, di reati di terrorismo, di riciclaggio dei proventi di attività illecite, di finanziamento del terrorismo o di tratta di esseri umani. Gli Stati membri dovrebbero, tuttavia, avere la facoltà di prevedere una deroga a queste esclusioni obbligatorie in situazioni eccezionali in cui esigenze imperative di interesse generale rendano indispensabile l’aggiudicazione di un contratto. Anche il mancato pagamento di imposte o contributi previdenziali dovrebbe essere sanzionato con l’esclusione obbligatoria a livello di Unione.»[10].

L’articolo 38 della predetta Direttiva, in particolare, dopo aver elencato i casi di esclusione dalle gare per i concorrenti che non posseggano i necessari requisiti di moralità e affidabilità professionale (in parte analoghi a quelli richiesti attualmente dall’articolo 38 del Codice dei Contratti Pubblici), stabilisce in sostanza che la presenza di una causa di esclusione debba essere verificata ed accertata dalla stazione appaltante ma non individua gli strumenti procedimentali per effettuare tale verifica («In forza di disposizioni legislative, regolamentari o amministrative e nel rispetto del diritto dell’Unione, gli Stati membri specificano le condizioni di applicazione del presente articolo.»).


[1] Direttiva 2014/23/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014 sull’aggiudicazione dei contratti di concessione.

[2] Per comodità si riporta il testo integrale dell’articolo 30 cit.:

«1. Salvo quanto disposto nel presente articolo, le disposizioni del codice non si applicano alle concessioni di servizi.

2. Nella concessione di servizi la controprestazione a favore del concessionario consiste unicamente nel diritto di gestire funzionalmente e di sfruttare economicamente il servizio. Il soggetto concedente stabilisce in sede di gara anche un prezzo, qualora al concessionario venga imposto di praticare nei confronti degli utenti prezzi inferiori a quelli corrispondenti alla somma del costo del servizio e dell’ordinario utile di impresa, ovvero qualora sia necessario assicurare al concessionario il perseguimento dell’equilibrio economico-finanziario degli investimenti e della connessa gestione in relazione alla qualità del servizio da prestare.

3. La scelta del concessionario deve avvenire nel rispetto dei principi desumibili dal Trattato e dei principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei principi di trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento, proporzionalità, previa gara informale a cui sono invitati almeno cinque concorrenti, se sussistono in tale numero soggetti qualificati in relazione all’oggetto della concessione, e con predeterminazione dei criteri selettivi.

4. Sono fatte salve discipline specifiche che prevedono forme più ampie di tutela della concorrenza.

5. Restano ferme, purché conformi ai principi dell’ordinamento comunitario le discipline specifiche che prevedono, in luogo delle concessione di servizi a terzi, l’affidamento di servizi a soggetti che sono a loro volta amministrazioni aggiudicatrici.

6. Se un’amministrazione aggiudicatrice concede ad un soggetto che non e’ un’amministrazione aggiudicatrice diritti speciali o esclusivi di esercitare un’attivita’ di servizio pubblico, l’atto di concessione prevede che, per gli appalti di forniture conclusi con terzi nell’ambito di tale attività, detto soggetto rispetti il principio di non discriminazione in base alla nazionalità.

7. Si applicano le disposizioni della parte IV. Si applica, inoltre, in quanto compatibile l’articolo 143, comma 7.».

[3] Le sentenze sul punto sono numerosissime. Ad esempio, il Consiglio di Stato (sentenza 14.3.2014 n. 1296), richiamando la precedente decisione dell’Adunanza Plenaria n. 13 /2013, ha ritenuto applicabili all’affidamento di una concessione di servizi le disposizioni di cui al citato art. 84, comma 10, del Codice in quanto espressive dei principi di trasparenza e di parità di trattamento, richiamati dall’art. 30, comma 3, del D.Lgs. 163/2006. Nella più recente sentenza del 30.6.2014 n. 3291 si è invece ritenuto inapplicabile alle concessioni l’articolo 87 comma 4, che impone, solo per gli appalti di servizi e di forniture, l’indicazione degli oneri di sicurezza in sede di formulazione dell’ offerta economica. Il Tar Toscana (sentenza del 14.10.2013 n. 1380) ha invece ritenuto inapplicabile alle concessioni di servizi l’art. 115 del Codice dei Contratti Pubblici, in tema di revisione periodica dei prezzi, in base al disposto di cui al medesimo art. 30 cit.. E’ peraltro pacifico in giurisprudenza che l’istituto dell’avvalimento, disciplinato dall’articolo  49 del Codice  trovi ingresso – ancorché non specificatamente richiamato dall’articolo 30 cit., ma implicitamente evidenziato dal citato comma 4 del medesimo articolo – anche nelle gare di affidamento delle concessioni di servizi. Infatti il giudice amministrativo si è espresso nel senso che “Anche per le concessioni di servizi deve ritenersi ammessa la facoltà dei concorrenti di riunirsi in associazione per soddisfare i requisiti di partecipazione ovvero di avvalersi di altri soggetti per conseguire lo stesso effetto, dovendosi considerare illegittima per violazione del diritto comunitario una limitazione della facoltà di fare ricorso all’istituto dell’avvalimento e di partecipazione alla gara in raggruppamento nell’ambito di una procedura per l’affidamento di una concessione di servizi” (T.A.R. Lazio – Roma – sez. II, 8.6.2012, n. 5221).

[4] Per le medesime ragioni il Consiglio di Stato esclude l’applicabilità al caso di specie dell’articolo 86 del Codice, disciplinante i «Criteri di individuazione delle offerte anormalmente basse».

[5] Il principio era stato espresso anche nella precedente sentenza del Consiglio di Stato del 21 maggio 2013, n. 2725. Tale orientamento è peraltro fatto proprio dall’Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici (oggi A.N.AC.) con riguardo ai “contratti esclusi”: «La regola secondo la  quale tutti coloro che prendono parte all’esecuzione di pubblici appalti devono essere in possesso dei requisiti morali può essere considerato un principio di  tutela della par condicio, dell’imparzialità ed efficacia dell’azione amministrativa, per cui deve trovare applicazione anche nei contratti esclusi in tutto o in parte dall’applicazione del Codice. Nei contratti c.d. esclusi può non esigersi il medesimo rigore formale di cui all’art. 38 D.Lgs. n 163/2006 (Codice degli  appalti) e gli stessi vincoli procedurali, ma resta inderogabile la sostanza,  ossia il principio che i soggetti devono avere i requisiti morali, e che il  possesso di tali requisiti va verificato (Consiglio di Stato, V, 17 maggio  2012, n. 2825, cfr. altresì Consiglio di Stato, VI, 15 giugno 2010, n. 3759)» (Parere sulla normativa 11 luglio 2012, AG 10/12).

[6] Il nuovo comma 2-bis dell’articolo 38 cit. prevede che: «2-bis. La mancanza, l'incompletezza e ogni altra  irregolarità essenziale ((degli elementi e)) delle  dichiarazioni  sostitutive  di cui al comma 2 obbliga  il  concorrente  che  vi  ha  dato  causa  al pagamento,  in  favore  della  stazione  appaltante,  della  sanzione pecuniaria stabilita dal bando  di  gara,  in  misura non  inferiore all'uno per mille e non superiore all'uno per cento del valore  della gara e comunque non superiore a 50.000 euro, il cui versamento e' garantito dalla  cauzione  provvisoria.  In  tal caso,  la  stazione appaltante assegna al concorrente un termine, non superiore  a  dieci giorni,  perché   siano rese,  integrate  o  regolarizzate le dichiarazioni necessarie, indicandone il contenuto e i  soggetti  che le devono rendere. Nei casi di irregolarità non essenziali, ovvero di mancanza o incompletezza di dichiarazioni non indispensabili, la stazione appaltante non ne richiede la regolarizzazione, ne' applica alcuna sanzione. In caso di inutile decorso del termine  di  cui  al secondo periodo il concorrente e' escluso dalla gara. ....». 

[7] Cfr. Provenzano P., Brevi riflessioni a margine della disciplina sugli oneri dichiarativi ex articolo 38 D.Lgs. 163/2006 contenuta nell’articolo 39 del Decreto Legge n. 90/2014, www.giustamm.it

[8] Si vedano, tra le più recenti, TAR Puglia-Lecce, sez. II, 13.2.2014 n. 439; TAR Campania, sez. I, 2.7.2014 n. 3621; T.A.R. Sicilia, Catania, sez. IV, 8 novembre 2013, n. 2696, secondo cui «un approccio non formalistico a questi problemi sembra coerente anche con lo spirito e la finalità della legge n. 241/1990 e delle disposizioni correlate in tema di semplificazione dei procedimenti e della documentazione amministrativa»[20], nonché con le più recenti evoluzioni legislative in materia di pubbliche gare (si pensi ad esempio al neointrodotto comma 1-bis dell’art. 46 del D.Lgs. 163/2006) le quali mirano proprio ad «evitare eccessivi formalismi, suscettibili di sfociare in una vera e propria “caccia all’errore” nella fase di verifica della regolarità della documentazione amministrativa».

[9] V. Considerando (2) della Direttiva 2014/23/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014 sull’aggiudicazione dei contratti di concessione: «Le norme del quadro legislativo applicabile all’aggiudicazione di concessioni dovrebbero essere chiare e semplici. Esse dovrebbero tenere debito conto della specificità delle concessioni rispetto agli appalti pubblici e non dovrebbero comportare eccessivi oneri burocratici.».

[10] V. Considerando (69) della Direttiva 2014/23/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014 sull’aggiudicazione dei contratti di concessione. Si veda anche nello stesso senso il Considerando (70): «Inoltre, le amministrazioni aggiudicatrici e gli enti aggiudicatori dovrebbero avere la possibilità di escludere operatori economici che si sono dimostrati inaffidabili, per esempio a causa di gravi o reiterate violazioni di obblighi ambientali o sociali, comprese le norme in materia di accessibilità per le persone con disabilità, o di altre forme di grave violazione dei doveri professionali, come le violazioni di norme in materia di concorrenza o di diritti di proprietà intellettuale. È opportuno chiarire che una grave violazione dei doveri professionali può mettere in discussione l’integrità di un operatore economico e dunque rendere quest’ultimo inidoneo ad ottenere l’aggiudicazione di un contratto di concessione indipendentemente dal fatto che possegga per il resto la capacità tecnica ed economica per l’esecuzione del contratto. Tenendo presente che l’amministrazione aggiudicatrice o l’ente aggiudicatore sarà responsabile per le conseguenze di eventuali decisioni erronee, le amministrazioni aggiudicatrici e gli enti aggiudicatori dovrebbero anche mantenere la facoltà di ritenere che vi sia stata grave violazione dei doveri professionali qualora, prima che sia stata presa una decisione definitiva e vincolante sulla presenza di motivi di esclusione obbligatori, possano dimostrare con qualsiasi mezzo idoneo che un operatore economico ha violato i suoi obblighi, inclusi quelli relativi al pagamento di imposte o contributi previdenziali, salvo diverse disposizioni del diritto nazionale. Le amministrazioni aggiudicatrici e gli enti aggiudicatori dovrebbero anche poter escludere candidati o offerenti che, in occasione dell’esecuzione di precedenti concessioni o altri contratti con le amministrazioni aggiudicatrici e gli enti aggiudicatori, hanno messo in evidenza notevoli mancanze per quanto riguarda obblighi sostanziali, per esempio mancata fornitura o esecuzione, carenze significative del prodotto o servizio fornito che lo rendono inutilizzabile per lo scopo previsto o un comportamento scorretto che dà adito a seri dubbi sull’affidabilità dell’operatore economico. Il diritto nazionale dovrebbe prevedere una durata massima per tali esclusioni.».

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Massimiliano Lombardo
Avv. Massimiliano Lombardo
Esperto e docente in materia di appalti pubblici
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